mercoledì 26 novembre 2008

lunedì 24 novembre 2008

Non c'e' altra situazione che tenga, sei Dali' affogato in succoso miele e rhum agricolo e l'ape che lo punse al meriggio. Raccolgo la carta rovesciata al suolo, e' un 3 di picche ... buono per l'avvicinarsi del viaggio ma non sicuro ancora del tuo girovita che si snellisce e che contrai per provocare le penombre dei muscoli addominali. Sei Pahlaniuk o come cazzo si scrive ma addobbato a nobile Lestadt che per carattere ed animo di antico vampiro non si sporca le mani.
E' questo il segreto del cammino erettile, come la rivista per i militari al fronte: brutti come V. Capossela ma seducenti come apprendisti in trincea pronti a tutto per una sigaretta.
E ora che Radio Luna non fa piu' il suo dovere con Cicciolina, allora la ritrovi a Barcellona mascherata da crepe farcita, e ti colpisce allo stomaco come una voce sola. La tua. La mia. Sono io il riflesso della mia stessa idea. Esco di corsa.
Cosi' Kasparov abbatteva il suo avversario: presentandosi con il suo padrone e nome.

Brano tratto da "Palindromo eterno" di Giacinto D'Ortica, Edizioni Ortega, Paris, 1999. Trad. It. di Pino Abate.

Se questo blog contiene caffeina, beh ... io saró un té al bergamotto.
La spia, la talpa, il doppiogiochista, l`invisibile, l`istrione.
Prima di tutto via i vizi tipo le sigarette e il caffè, poi un training costante da farti diventare degno della copertina di men`s health con addominali di cuoio imbottito e un braccio caterpillar. Poi una grande cultura, molta fantasia, immaginazione e un grande istinto per riconoscere i bisogni degli estranei.
Siamo in un epoca nuova, diversa, non si tratta piú di guerra fredda e dossiers privati ... ma bensí di una visione trasversale alle cose, di un gioco di ruolo in cui vinci se non hai padroni, e le qualitá necessarie non sono il kung fu o le tecniche di tortura ma la capacitá di adattarsi, di essere eclettico e proteiforme, di usare una tastiera coi tasti consumati in un ostello della gioventú e non commettere troppi errori di battitura, di saper tirare fuori l`apprendimento passivo, di sapere tutto giá senza pretendere di capirlo. Si tratta di sognare con la coscienza di farlo anche durante la veglia e capire che la mente conosce il rischio ma non la morte. La mente si ferma a quell`istante prima, a quel pizzico di dolore all`ultimo istante sensibile.
Oggi un`agente segreto deve aver conosciuto la pazzia del visionario, il dolore del tradimento e la trance dell`arte surrealista. Per tornare dal suo aldilá privato deve essere come il rabdomante nel deserto delle sue emozioni, un Freud che gioca a scacchi con Jung, le tre scimmie, Nietzsche e Zarathustra, una mente pericolosa e un cuore di leone.
Per cominciare tutto inizió con un diario di viaggio e un nickname. Una manciata di passi. Un té al bergamotto in cui versare del latte freddo.
Xavier Barcino

domenica 23 novembre 2008

sento che questo blog sta per dire qualcosa di nuovo e diverso. diverso da che, poi, non è dato sapere. tutto è diverso da tutto.
ad ogni modo, 2 anni e mezzo orsono, il blog nasceva dalla mia esigenza di strappare/stappare una penna interiore e incalamaiarla nei sentimenti più urgenti del mio Me. le malcelate velleità romanzesche hanno ben presto ceduto il passo a un impressionismo espressionista, a un frenetico rimbalzare del fuori nel dentro e del dentro nel nulla, all'illusoria intimità della ribalta invisibile.

vedete bene che è così: il blog a volte parla come un diario, ma pubblica come un libro, più di un libro, ma è un libro che nessuno legge, che è condannato all'intimità, al diario. è un diario per forza. se fosse letto da tutti sarebbe forse un diario violato. ma la notorietà su internet è un caso su milioni. il solito annoso paradosso implosivo: tutti visibili allo stesso modo, tutti ugualmente invisibili.

vorrei avere la forza e la lucidità visionaria di chi scrive romanzi per davvero. saper scolpire quella storia che mi si mescola in testa da tempo, e che si chiama café absurd, come questo blog.
ma forse no, non vorrei. forse non c'è nessuna storia, c'è solo un mood, un ritmo, una combinazione di colori, di profumi.

non sento già più che questo blog possa dire qualcosa di nuovo e diverso.

venerdì 21 novembre 2008

Il mio Zegna per un Cavalli 0.1

manca l'introduzione (e magari fosse solo quella). e sono certo che se mi metto a scriverla qui mi viene di getto. quel foglio elettrico pallido e cangiante mi terrorizza. non è che mi terrorizzi: mi annoia in modo absurd. questo foglio elettrico no. non mi fa effetto. mi dà noia, forse, ma una noia più soft, meno pallida e più pastello.
di carmelo bene ho detto poche cose nella tesi. ho scavato con insistenza in pochi punti. le parole chiave del titolo sono tre, e nell'introduzione parlerei di questo, di queste tre parole.
c'è il corpo, il corpo abusato, esibito, ostentato, poi sfinito. poi svanito. svanito in una gabbia di vetro o di cristallo.
c'è il cristallo, il velo, la gelatina. l'immagine cristallizzata è oscena, è per sempre, condanna la performance, la scalza via dal palco e la dà all'ostensorio, all'oblò, al quadro, alla prospettiva imposta della rappresentazione. dal cinema la rappresentazione non puoi toglierla se non togli il cinema.
c'è la voce, ed è tutto.
eppure credo che sia accaduto ai migliori scultori, questo: di volersi fermare prima che sia tutto finito. e ai pittori. di volersi fermare prima. prima che l'opera sia compiuta. e agli scrittori. l'incompiuto trattiene qualcosa, è più potente della forma finita. un libro spento di punto in bianco, un film troncato così, come capita. c'è come un foro, una valvola, per comunicare con l'esterno, per farsi vivo. credo accada a qualcuno di non voler foggiare le gambe alla statua, ma non per paura che sappia scendere di stallo e vagare nel mondo. la statua compiuta non sa muoversi affatto. quella con le gambe grezze, immaginate nel blocco ancora acceso, ancora vivo, quella sì che sa camminare. il quadro abbozzato, il ritratto a matita, sanno parlare. il finito non ha niente da aggiungere. fin troppo ovvio, no?
come il tale, michelangelo, che bastonò mosè al ginocchio, perché non parlava. s'era accorto, michelangelo, che la statua finita non poteva parlare. doveva sfinirla. ecco perché il colpo al ginocchio. per darle una ferita, una storia, un qualcosa di cui parlare, lamentarsi.
dico così perché oserei lasciare la tesi com'è. aperta, senza l'introduzione, senza la conclusione. sfinita, grezza, bellissima. tutta da riscrivere, mille volte. sfogliarla e dire: qui ci metto quella foto, qui ci metto l'altra. tutta immaginata, in mille modi diversi.

venerdì 14 novembre 2008

Le questioni urgenti del principe Palinfrasca.

c'era una volta un arco, talmente teso che tutti i campi a camomilla di Xyz, ahimé, si estinsero entro un paio di righe. si trattava di cercare fiori.
il primo console del re sapeva di francese, e fu inviato in francia. il secondo capiva di inglese e via in inghilterra. il terzo di tedesco, in germania (in pochi capirono il perché della decisione). quarto cinese, cina. giapponese, giappone. l'ultimo consigliere sapeva di fiori e non fu inviato in alcun luogo. fu interrato vivo in un campo di terra rossa, ma rossa, come il sangue.
nessuno dei messi fece ritorno in patria, poiché nessuno dei messi era originario di Xyz.
il messo interrato era l'unico messo che amasse la sua messe; e per amar la messe c'è da amar la terra. certo, avrebbe fatto meglio a non dirlo, al processo, che la terra gli piaceva tanto.
processo per cosa?
eh, è una storia lunga, in due volumi. talmente lunga che sta scritta sui binari del treno che da Xyz va a Zyx. il primo libro sta scritto tutto di fila, parola dopo parola, lungo la rotaia di sinistra, il secondo libro sulla rotaia di destra, ma in direzione opposta, da Zyx verso Xyz, cosicché a nessuno venga in testa di leggere i due libri contemporaneamente. ogni anno decine di pellegrini percorrono le rotaie per leggere la storia.
e io ogni anno dico: quest'anno ci vado anche io, a leggere. e poi non ci vado mai.
in compenso lo scorso anno sono stato in vacanza a Roma.
Roma ci ha questa particolarità: che è difficile trovare un posto dove si mangia bene.
sono stato in tante città. a mantova si mangia bene, la mericonda, la panada, la pasta trida, il risotto coi saltarei, il risotto al pesce fritto, il risotto al pesce lesso, il risotto con la tridura. a genova pure si mangia bene: l'acqua cotta, il ciuppin, le lattughe ripiene, il menestron. si mangia bene a lucca, i ranocchi fritti, il salacchino con la polenta, la frittata con le cicche. e a catania, si mangia bene: la pasta a picchi pacchiu, con le castagne, con le sarde, e a napoli, la zuppa di cozze, le braciole, e anche a otranto si mangia bene, e a milano si mangia bene, a pisa bene, a livorno bene, salerno bene, torino bene, savona bene, aosta bene, cagliari bene, potenza bene, lecce bene, benevento bene. solo a roma. solo a roma no, solo a roma si mangia male: pane e pane, gomiti alla brace, capelli trifolati, culi di gallina, cazzi e mazzi alla romana.
a roma, se ti viene fame, meglio che te ne vai da roma.
così mi disse un tipo, un giorno, vicino a roma, un tipo con in mano un paio di pere e un pezzo di pecorino. si mangia male, guarda che schifo, diceva, con queste pere in mano e il pecorino.
basta, a furia di cibo m'è venuta fame, buonanotte, vado a mangiare.
il fondo d'abisso è già chiaro, come in piscina.
ci sono piccoli pesci simili a quelli che stanno in superficie, né più né meno.
scopriamo branchie inattese. fine dell'apnea. è come nuotare nell'albume, nell'amnios. l'abisso è l'attimo prima dell'alba, è nero. l'alba è l'abisso chiaro, come in piscina. l'abisso chiaro è l'alba a testa in giù. e c'è sempre una nascita dopo. lo si capisce dal colore dell'acqua, azzurro chiaro. rigato di luce. c'è già una mano che viene a trarci fuori, forcipe dolce, dita simpatiche di ostetrico.
a testa in giù come sott'acqua, si nasce.
l'uomo ha paura di questo, l'ascesa e la discesa. ma più di questo ha paura quando non si capisce dov'è il sopra e dove il sotto.
ma quando rompi il guscio sei tu l'inondazione, sei tu la luce che fa splendere tutto.
rinascere vergini, spogliarsi di quello che ti pensano addosso. rinascere a testa in giù, tutto è nuovo, tutto ci appartiene. nessuno ancora ci ha insegnato niente.
ho una teoria sulla parola "mamma". forse l'ho già scritto una volta.
quella parola nasce da pianto sommato al desiderio di suzione. "mamma" è sinonimo di "ho fame", è una frase che è anche una parola. in un altro post dicevo che l'unica parola che è anche una frase è "dio". beh, no, anche "mamma" è così, è una frase. e non è un caso che si dica allo stesso modo in tante lingue.
ci sono cose che impariamo da soli, e sono le uniche cose che impariamo. il resto è dolore.
e l'uomo è fatto per stare bene.

mi rendo conto che scrivo male stasera. dico cose scontate, un po' piccole.
ma è un bene portare il mal di testa alle estreme conseguenze.
così mi torna in mente l'abisso vero, quello nero. quello che non si capisce dov'è il sopra e dove il sotto. quello che ti manca il fiato e stai per annegare.

l'altra strada, infatti, è l'annegamento. è svegliarsi in un sogno più profondo di prima, ancora più dentro all'uovo, uovo nell'uovo. ritrovarsi nel ventre del feto che eravamo, sempre più distanti dalla vita. può essere una strada anche questa. ma è una strada buia. è una strada, ma lo è solo per metà del giorno, quella metà del giorno che si chiama notte. i sogni di giorno sono diversi dai sogni di notte. e non è il sonno che fa la differenza.
ho detto in un post qui sotto che gli incubi sono solo sogni ma i sogni non sono solo incubi, e questa è una cosa buona.
un'altra cosa buona è che la notte è metà del giorno ma il giorno non è metà della notte.
vado a dormire.
svegliatemi quando avrò dimenticato tutto quello che ho imparato.

martedì 11 novembre 2008

non ho fatto tutto ciò che andava fatto. e sono stanco stanchissimo.
l'importante è che sai di non poter fare di più. ma ci sono parole che vanno parlate anche da stanchi, anche a quest'ora della notte, un'ora che non ho il coraggio di affacciarmi alla finestra, perché non sia mai che invece di notte è giorno. e io, quelle parole da parlare, invece di parlarle le scrivo.
scrivo che stanotte ancora nel sogno vado ad annegare. vorrei che domani, che è oggi, un dignitoso "perché" sgusci fuori dalla tana del mondo.
un perché senza punto interrogativo. un perché senza spigazioni ulteriori. un perché col punto e basta. un perché che risponde senza rispondere.
come a dire:
- perché?
- perché.
why? because.
pourquoi? parce-que.

delego il resto a Cristina Donà, malgrado la reputi una poetessa ben inferiore a me.

Specchio di pioggia e asfalto
ci naviga dentro il cielo
grigio bianco
acqua e cielo
ma tu sei una goccia che non cade
e ritarda la mia guarigione
come ultima frase da terminare
Piccole navi col motore spento
aspettano un segno dal faro
così lontano
specchio di pioggia e asfalto
oggi il mio viso è più leggero
senza pianto
solo acqua e cielo
ma tu sei una goccia che non cade
e rimanda la mia guarigione
come un rumore sospeso che
non esplode
ancora navi col motore spento
aspettano un segno dal faro
così lontano

domenica 9 novembre 2008


domani, nemmeno domani. appunti per una storia universale dell'ossigeno in 20 volumi.

da peiligang alle baby gang, dai sumeri agli assiri, da omero a plotino, da platone a oniro con i suoi oneiroi, passando per anassimandro, anassimene, anassagora, protagora, pitagora, protanassimandrogeneide, plasocraristagossimandromeletemocritone, per finire con Ugo Bò, i sogni sono un fatterello che stuzzica in ogni quando l'appetito dei pensatori, pressappoco dacché successe che l'uomo s'intuì uomo.

dev'essere successa qualche cosa pure a me, se inizio a vuotarmi così bene nei sogni. al mattino mi sveglio e sono una càscara, una scorza d'uovo. e quando sei leggero così, ad alzarsi non ci vuole niente. una scorza d'uomo glicemico e proteico come zabaione.
il mondo dei sogni è la discarica più profumata che c'è, a volte. la materia che uno ci ha dentro non è spaventosa di suo. a pensarci il mondo stesso, quello reale, è fatto di materia scontrosa, ma alla fine della fiera conta di più il modo in cui metti insieme le cose. è il modo che spaventa, e la grazia è nel modo. è come in cucina, in un certo senso: ci vuole un tocco leggero e svelto, perché le cose riescano bene. e non si tratta di qualità degli ingredienti, ciascuno ha la sua qualità, e se la merita.

negli ultimi giorni cucino piatti evocativi, potenti e dettagliati. non mi piace più -da tempo- schiacciare tutto sotto il peso della panna o dell'olio extravergine. i grassi servono tutt'al più a lubrificare. quasi tutti i fluidi del mondo, a pensarci bene, sono veicoli o interpreti naturali.
il seme dell'uomo veicola omuncoli, il liquido amniotico insegna al feto la libertà di movimento, l'acqua -in forma di fiumi- unisce le vette del mondo ai suoi fondali, così come fa il sangue nell'organismo. l'olio fa girare meglio gli ingranaggi. il vino, dicono (anzi, dicevano), veicola la verità. e può farti interpretare il mondo un po' diversamente. e poi è antiossidante, favorisce il deflusso sanguigno.

il grasso dei miei sogni sono le pulsioni emotive. quando sono sovraccarico di tensione non riesco a sognare, cioè a ricordare, cioè a digerire. c'è una specie di sigillo di zucchero caramellato che tiene intrappolati i figli di Ipno a livello dell'esofago. ma stamane no, mi sembrava di essere appena uscito dal cinema, al risveglio.
dei figli di Ipno il mio preferito è Fantaso, lo scenografo. ma è Morfeo che cura i dettagli e fa sembrare tutto così vero. Fobetore non mi spaventa, gli incubi sono solo sogni. e il bello è che invece i sogni non sono solo incubi.
domani, nemmeno domani ci siamo, e sì che non saremo assenti. ma ci saremo, mai più, nel giro di qualche giorno, manca poco davvero. la tesi sarà presto una dis-tesi.
spero che questo mood ingrassi la punta della mia penna, sicché si riesca a mettere un punto fatto bene, bello tondo e leggibile. giuro che l'università è l'ultima cosa sensata che ho faccio nella vita. laspus.
saluto i miei sostenitori con una poesiola che fingerò di non aver composto io.

"ho di nuovo bisogno di nuovo
e di nuovo so dire vorrei
dormirò nell'albume di un uovo
per svegliarmi nel panta che rei"

(Ugo Bò, Il misticismo onesto di Hobu Ghergai, Ed. Benemalecreo, Parigi 2009)

mercoledì 5 novembre 2008


in certi film e serie televisive americane degli anni ottanta, di genere perlopiù poliziesco, ci sono due protagonisti che lavorano insieme: un nero e un bianco. arma letale, miami vice, beverly hills cop, spingevano l'afroamericano verso le luci della ribalta e tentavano il rilancio del veterano di guerra bianco (e con lui la rimozione del melodramma vietnamita); retorica fondata, insomma, sul mutuo cacciarsi fuori dalla merda.

sono felice per la vittoria di Obama, ho seguito l'evento in tv, tra cnn, fox e bruno vespa, fino alle 4 del mattino. bello, davvero. ero sfinito e sono andato a letto prima dei titoli di coda, ma insomma, niente sorprese al mio risveglio, rispetto a quanto s'era profilato in tarda nottata.

certo sembra un po' un film. l'ultimo della serie bianco-nera, in cui ciascuno dei due -il veterano, l'afroamericano- prende la propria strada. il finale è scontato -una condensazione onirica di "american dream" e "i have a dream today"- ma è facile dirlo dopo.

bisognerebbe fare così anche di fronte ad un film dal finale scontato: ammettere che è facile dirlo quando il film è finito.

prima di seguire la maratona elettorale mi sono visto Essere John Malkovich. voglio tornare sull'argomento quando ho tempo.

martedì 4 novembre 2008


la bell'alba dell'agrume azzurro

quant'è spazioso il cielo quando piove così, poco alla volta. bianco lenzuolo steso ad asciugare, tenuto su dal più dolce dei venti. era Parigi, ottobre, erano i sindacati in strada per non so cosa, a place de la République. era il rosso delle bandiere, o di un fumogeno. no, quello era marzo, ed era Sevres Babylon. e veniva da piangere, con la sciarpa fin sul naso.
sotto quel cielo lì, io penso. penso che un mal di testa non è per forza doloroso. ci sono mal di testa che non fanno male, che ti rinfrescano la memoria e l'identità. proprio come quando passi una giornata in casa senza mettere il naso fuori dalla finestra, e di colpo dopo pranzo scendi in strada. quel mal di testa lì, quel socchiudere gli occhi sotto al lenzuolo luminoso, luminale, liminale. limonale.
passeggio sfogliando il vento, come tra biancherie pulite. kipling senza gli animali, l'alba minerale. ma con un tocco in più di foresta, di kenzo, di giardino coi cedri, di foglie spesse, verdi e azzurre.

chiamo me stesso al cellulare. occupato, sempre occupato. con chi starò parlando? mi richiamo. occupato. cerco di distrarmi, mi chiamerò dopo. mi rilasserò. forse se mi chiamo dopo, più tardi, quando non avrò altro da fare, forse, troverò libero.

ecco come si vive, a volte. credendosi altrove, sdimensionati tra due, tre, quattro possibili mondi.
è l'unico modo per non morire mai. ma poi ti chiami al cellulare, e ti scopri occupato. occupato a fare che? a chiamare te stesso. anche l'altro Te ti sta chiamando. e ti chiama sempre nello stesso istante in cui lo chiami Tu. è fantastico. c'è una linea diretta con te stesso che nessuno ti nega ma che è sempre occupata, senza margine d'errore, senza possibilità di correzione.

"Vodafone, servizio gratuito recall. Il cliente desiderato è impegnato in un'altra conversazione". Un'altra? Ma stiamo scherzando? IO SO che la conversazione è la stessa! E non sta avvenendo affatto!
Ecco, la voce dice al tempo stesso verità e menzogna. Ecco il "segno dei tempi" più suggestivo che mi venga in mente.

Ma non mi arrendo. Occupato? Ok.
Faccio il 5. una voce spiacente mi avverte che "per problemi tecnici il servizio RECALL non è momentaneamente disponibile".
attacco, e subito dopo mi arriva un messaggio: Ho chiamato alle 15.00 del 04/11/08. Informazione gratuita del servizio CHIAMAMI di vodafone". Mittente: IO.

c'è di che scrivere un saggio intitolato: "Come mi chiamo?"
So come mi chiamo. Do per scontato che non lo dimenticherò. Ma dal momento che uno di solito non chiama se stesso al cellulare, può accadere che dimentichi il proprio numero. Lo salva allora in rubrica sotto la voce: IO.
So come mi chiamo. Ma voglio chiamarmi, e non so come.

Bello sarebbe sorprendersi un giorno così: che squilla, è libero, e ti rispondi, e dialoghi con te. Senza scarto, non con un Te passato, così è facile. è possibile financo parlare con un Te futuro, alle volte.
Ma parlare con il te di ora non puoi mai.

riprendo il passo, diluvia e il cielo è blu cupo. spero di non fare mai ritorno a casa.

vorrei scrivere un romanzo così, dove non smette mai di piovere.

domenica 2 novembre 2008

imparare i gesti è il primo passo per compiere le gesta.
a parte questo, si affacciano al parapetto degli occhi rarità da postinfanzia, di quelle che ti stemperano per un'istante i coaguli dell'età adultera. ma almeno, uno pensa - ed è un sogno - uno pensa che si possa stare ancora così, ancora sognare che per una volta la si smetta di rubare il poco agli idioti e la si cominci a nuotare tanto in acque tiepide, limpide e piatte.
ma mi viene in mente la più chimica delle piscine, piscine di quando ero troppo bello per spogliarmi e piscine di quando ero troppo pesante per affondare. di quando era troppo bello per essere vero, e infatti restava così, non s'avverava o si rivelava falso, o brutto, o sospeso a mezz'acqua come una boa, e potevi vederlo ma poi non ti bastava il fiato, mai, per andare, fare il giro, e tornare indietro.
questo è il nettare della mia adolescenza: saltare da un punto fermo, da una spiaggia, l'infanzia, e andar dritti per un tratto, forti di una vista che sembra tutta nuova, nuotare, o correre. voltare poi a destra -una volta che hai preso coraggio- e compiere una curva ampia, un semicerchio, e ti ritrovi d'improvviso a sinistra. l'ebbrezza centrifuga non ti dà modo di accorgerti che stai tornando al punto di partenza. e a ben guardare la strada che hai tracciato è un punto interrogativo gigantesco. ma no, al punto di partenza non ci arrivi, perché la terra finisce prima. ecco dov'è che muore ogni idea e inizia la vita. inizia l'età adultera.

da quel punto là -capisci bene- ti tocca saltare di nuovo. perché tornare indietro non s'è mai potuto, non s'è mai visto. saltare, allora.
nel vuoto? oppure hai le gambe così massicce da riuscire a raggiungere il "." di partenza? dipende: se hai nuotato o corso bene, sì. le hai abbastanza massicce. e allora puoi ricominciare e rifare tutto da capo, il che può essere bello, se ami la vita per quello che è.
ma se le gambe ce le hai secche, o giù di tono, perché hai nuotato o corso male, o così così, allora per forza di cose ami la vita per quello che non è.
a tuffarsi da lì, con le gambe secche, non è che ti ritrovi sotto la più limpida delle piscine. c'è un brodo scuro, un abisso pieno zeppo di punti interrogativi come il tuo.
puoi restare affacciato al parapetto della postinfanzia, e goderti di tanto in tanto il balzo scoagulante di qualche rarità solo sognata.
oppure cacciare un urlo, e poi giù nell'abisso.
chi non s'è mai tuffato a bomba?
imparare i gesti è il primo passo per compiere le gesta.

sabato 1 novembre 2008

oggi ho consacrato una pausa-studio alla visione di Tanguy, la simpatica storia grottesca di un giovane ipercolto, ricco e sciupafemmine che non vuol saperne di abbandonare il nido di mamma e papà. suggestivo è il fatto - ho letto da qualche parte - che un film così "italiano" venga dalla francia. beh sì.
per me è più suggestivo il fatto che, ultimamente, mi riconosco in tutto quello che vedo, leggo, ascolto (eccetto, in Tanguy, gli attributi di ipercolto e tombeur de femmes).

e poi guardo film con una pazienza che non sapevo di avere, e col dedito abbandono dello spettatore-di-cinema tout court. sarà che i film di Carmelo Bene hanno dato il colpo di grazia alla mia voglia di fare lo sguardo a culo di gallina. e ho una voglia matta di andare al cinema a guardare film medi, o -al più- dal medio in su, ma con una strizzata d'occhio al buonsenso pecoreccio.
questo vuol essere un appello a K, che giorni fa mi ha inviato un essemmesse contenente generiche scuse relative alla sua prolungata assenza dalle scene non virtuali.

addenda: fate con me il conto alla rovescia, mancano 11 fottuti giorni alla consegna della tesi. la stesura procede in una dolce trasognata inerzia. non vedo l'ora di lasciarmi risucchiare, con la toga ancora indosso, da un gurge di baccanali.