lunedì 30 aprile 2007


Mentre dormivi, dolcemente, in punta di mano ho scritto parole (segrete) sul palmo della tua, o sul dorso, ora non ricordo bene. Dovevo essermi svegliato per qualche motivo. Forse per bere, spesso mi capita di svegliarmi per bere.

E' che non bevo abbastanza durante il giorno. E poi, quando il letto non è il mio, a volte sento le gambe che vorrebbero andar via. Per un motivo o per l'altro, ad una certa ora della notte mi son ritrovato con gli occhi sgranati sul buio, nella tua stanza, nel tuo letto, e con un qualche senso di insoddisfazione. Per prima cosa ho cercato te. Quando nel buio si cerca una mano il più delle volte si trova qualcos'altro, che so, dei capelli, una schiena. Capita che con le dita - appena appena, per non dar fastidio - segui l'andamento di un braccio alla ricerca di una mano e invece va a finire che incontri la curva di una spalla. Allora capisci che hai sbagliato verso. Ho sbagliato verso, ma poi pian piano hai smesso di essere un quadro cubista, le mie mani hanno iniziato a vedere. E forse anche i miei occhi, basta qualche istante e qualche rigo di luce. Salvo che sono molto miope e di notte non porto né lenti né occhiali.

Ho fatto queste due cose, non ricordo con esattezza in che ordine: a) scriverti qualcosa col dito sul dorso della mano, o sul palmo; b) bere. Sì, credo sia questo l'ordine giusto, peraltro.

Dopodiché, credo, già dormivo.

sabato 28 aprile 2007

venerdì 27 aprile 2007

Café Absurd sta per diventare un programma radiofonico; o più esattamente: il collettivo ventinove settembre, composto da Higuerra, Sgamas, Scalia, Bisca e LeCannu (per quanto riguarda ques'ultimo io la mano sul fuoco non ce la metto, eh) sta per ri-esordire in radio con una trasimssione che a a quanto pare porterà il nome del presente blog.

Café Absurd originariamente era (ed è, credo) un pub di Weiz, Austria; e l'abbiamo detto. Café Absurd nelle mie intenzioni doveva diventare un romanzo, poi un film, o uno spettacolo teatrale, ma non ho talento (o pazienza) per certe cose. E' stato il nome provvisorio e scettico della mia storica band progressive rock. Vorrebbe essere il nome della mia nuova band meno progressive e forse meno rock.

Per intanto è il nome di una trasmissione radiofonica. Presto i dettagli.

mercoledì 25 aprile 2007





Le stagioni, tre su quattro, mi entrano dentro. L'autunno da sopra, con le incombenze, gli abiti pesanti, le piogge. L'estate di fronte, col sole irriverente, l'aria burrosa, la vista inevitabile dei corpi umani. L'inverno da sotto, con il pavimento metallico la mattina quando scendi dal letto, gli scarponi, e la terra che freme, e pare che da un momento all'altro debba accadere qualcosa. Ed è per questo che la primavera ti sorprende, perché ti aspetti qualcosa dal basso per tre mesi, che so, un fiore che spunta, e invece la primavera ti viene da dentro, non ti accorgi di nulla, te la ritrovi addosso. I sorrisi sgorgano e splendono, le narici annegano, gli occhi lacrimano e bruciano, i muscoli scalpitano sotto la pelle, il corpo chiede di uscire dagli indumenti, e tutto dolcemente soggiace ad un principio di luce e di fuoco.
Il caffè ha un sapore diverso, il mattino ha l'oro in bocca, la sera si fa desiderare, la rondine non è più sola. Cori d'uccelli che intonano Antonio Vivaldi e vivai di ghirlande di rosa, d'arancio e di viola.

martedì 24 aprile 2007

#1

Mi sveglio presto. Non eccessivamente presto. Il sonno è un dolore tra naso e torace. E' sospensione, è rabbia; è rivivere il trauma dell'uscita dall'amnios, è scontrarsi con l'aria. Mentre l'acqua, l'acqua è l'elemento. Lo sbadiglio è perché l'aria non basta.
Vado a bere. Vado a fare quello che devo fare.
Appena puoi libera il pesce.

Piòtr

lunedì 23 aprile 2007


Le mie canzoni si intrecciano l'una con l'altra, tutte diverse epperò se le scomponi ti accorgi che puoi ricomporle a piacimento, la strofa di questa che va bene col ponte di quella che a sua volta introduce a meraviglia l'inciso di una terza. Non è bello. Come dire che ho scritto una canzone sola, gigantesta e labirintica, che non ha una forma definitiva, e perciò non la si può ascoltare, e manco suonare né cantare. Cantare, poi, proprio no, perché non trovo più le parole; una volta scrivevo tutto, peccavo un po' di ridondanza lessicale, complice il dizionario garzanti, però scrivevo. Oggi mi rileggo.

Una volta, insomma, mi veniva facile, scrivere canzoni. In qualche rara e diabolica occasione ho avuto il senso di catturare e plasmare in forma definitiva un qualcosa di incorporeo, il senso di fissare l'effimero, quasi i numi m'avessero permesso, bendato, di cacciare le mani nel bussolotto delle idee musicali e di estrarne un numero (che peccato, pare che nume e numero non abbiano radice comune; c'è da dire che ho compiuto una ricerca troppo frettolosa, spero di sbagliarmi).

Oggi ogni rigo è uno sforzo, ogni nota una costola, ogni accordo un dubbio che alimenta il dubbio successivo, e così via, esponenzialmente. Avessi raggiunto la stasi dopo una carriera alla John Cage, sarei anche vagamente soddisfatto; o abbastanza ricco da prendere più alla leggera certe cose.

Ieri ho suonato con Ilenia. Mentre caricavo la batteria in macchina, dopo il concerto, ho vaneggiato di dovermi svegliare, l'indomani, per andare in ufficio.

giovedì 19 aprile 2007

Stasera c'è Lucio Dalla nel mio lettore e non so perchè.
L'ho messo per caso ma ci sta proprio bene. Ci sta fin troppo bene.
Avete presente quando canzoni che avete sempre sentito un po' distrattamente all'improvviso vi sembrano bellissime e adatte al momento?
Bene, stasera è così.
Non so se ci riesco davvero, ma caro H., se cliccando qui ti si apre un' altra pagina e riesci pure a sentire qualcosa, sappi che quello che senti te lo dedico per i tuoi 27.
E GENETLIACO SIA...

martedì 17 aprile 2007


Mi sveglio e c'è Piòtr, seduto accanto al mio letto, mi sorveglia, mi sta al capezzale. Lo riconosco subito, prima di inforcare gli occhiali, nonostante la miopia, lo riconosco da qualcosa che solo i ciechi vedono. Sto male? gli chiedo.

- Dimmelo tu, mi fa, come stai, stai male?

- Aspetta, fammici pensare. Sto così, ho la nausea.

- Bevuto troppo? mi fa.

- Forse poco, forse bevuto poco. E poi vedi, vedi, ho lasciato la finestra aperta, stanotte - gli indico la finestra aperta - avrò preso freddo, avrò preso.

- E così c'hai la nausea, c'hai.

- C'ho la vertigine, c'ho. La vertigine.

- Bella 'sta cosa della vertigine, è tua?

- Mia? Dico, boh, non lo so se è mia, in questo momento sì, è mia. Magari non solo mia, ma anche mia di sicuro.

- Bella. Ma vertigine come quando guardi giù? mi chiede.

- O come quando guardi su, gli rispondo.

- Eh, no - mi fa Piòtr - no. Sono due vertigini diverse. Una ti prende qui, all'altezza del diaframma, come un grido, e punge. E questa è la vertigine del guardar giù. L'altra è silenziosa, sferica, sta un po' più in basso, quasi in mezzo allo stomaco.

- Boh.

- Alzati - mi fa -, alzati e vai a bere.

Mi alzo, vado a bere, a pisciare. Mi infilo una tuta, una tuta per dentro casa, per non stare in mutande ma neanche per uscire.

- Che fai? mi fa Piòtr, che fai? Ti metti una tuta per dentro casa?

- Dico, eh, sì, mi metto una tuta, per non stare in mutande, ma non devo uscire.

- No, non devi, in effetti, non devi - dice Piòtr, che intanto si è alzato in piedi e passeggia in un metro quadro, e si guarda intorno girando solo il collo.

- O meglio - dico io - o meglio devo, ma non voglio. Ho la vertigine.

- Non devi, dice Piòtr. Chi ti ha detto che devi?

- Dicono. Dicono che c'è il dovere.

- Sì - dice Piòtr -. il dovere c'è. Ma non ha niente a che vedere con il mettersi addosso abiti borghesi, e uscire, niente.

- E cos'è, allora, il dovere che c'è?

- C'è una sola cosa che t'hanno imposto per davvero, pensaci. E questa cosa è il corpo, il corpo è il tuo dovere. Pensaci bene. Il resto, alzarsi, fare le cose, lavorare, togliersi la tuta per dentro casa, il resto dovere non è. Non direttamente. Stai tranquillo.


Ma io lo so che questa è un'altra delle sue provocazioni, di Piòtr, intendo. Ma ogni tanto con Piòtr ci si diverte anche, eh, e allora la prossima volta, promesso, vi racconto una storia divertente, che ci siamo io e Piòtr, e succede qualcosa di strano.

lunedì 16 aprile 2007

Dovere dovare

Non si finisce mai di imparare:

http://www.verbix.com/cache/webverbix/4/dovare.shtml

domenica 15 aprile 2007

VOGLIO ESSERE BELMONDO'



Ecco, finalmente oggi ho installato skype. Sotto pressione di certi individui e il mio bisogno di stringere ulteriormente le spese ho comperato una cuffia col microfono a 6.90 euro, dopotutto a buon mercato. Ho scaricato il programma e ho provato ad installarlo. Il primo numero che mi è venuto in mente, non è stato erroneamente il mio bensì quello della casa dei miei vecchi. Il caso tra l'altro ha voluto che poco prima mi fossi occupato di certe faccende ascoltando la musica ad alto volume. Insomma, diciamo che con il volume mi ero del tutto assicurato d'aver, in un modo o nell'altro, fatto partecipare a quel momento tutti i presenti ai cinque piani sottostanti. Insomma chiamo casa russia, ma quella vera. E rispose mio padre, a gran voce.
-Chi é?
Tutti i cinque piani sottostanti probabilmente udirono nello stesso istante, dopo il gran concerto, la stessa cosa che silenziosamente tutti si chiedevano. Ma nessuno ebbe risposta.
Parlare con papà è stato sempre un pò così, era come se non sentisse le mie ragioni.
Che poi in verità, non sono nuovo a colonne sonore, quindi con molta probabilità molti di loro sanno già chi ne sia l'autore.
Comunque. Ecco, il microfono non funziona. Guarda e per farlo sistemare
un casino.
Cavi di là poi di là. Io tento, infilo e poi studio i risultati, se qualcosa succede, faccio progressi. Alla fine ci sono riuscito. In parte. Il microfono funziona, le cuffie no, le casse (quelle di bak) continuano a funzionare.
E questa è solo una delle cose, di questo universo cibernetico, a cui non riesco proprio a venire a capo.
Il primo è che da quando sono passato alle versione beta, per qualche inspiegabile motivo la mia nuova pasword non mi viene mai riconosciuta se non faccio una sequenza alternata del nuovo col vecchio per far scattare la serratura ed accedere al profilo. Una cosa allucinante.
La seconda è che il mio blog ha ancora il fuso orario di Mosca sulle date dei post. Due ore in anticipo. Finisco per scrivere cose che in quel momento non potevo scrivere perchè ero altrove e questa è la prova della mia bugia. E non c'è verso di cambiarlo.
O sicuramente un sistema per aggiustare tutto ciò esiste ma io proprio non ci arrivo.

venerdì 13 aprile 2007

Dimenticavo:

http://memoriediunpescerosso.blogspot.com

Oggi è venerdì 13 aprile, ma se fosse un qualsiasi dì di giugno non mi stupirei. Una fresca giornata di giugno, piena di luce e non altrettanto piena di sole.

S'è laureato il mio amico Vincenzo, oggi, e con il massimo dei voti (alla Madonna). Sono arrivato tardi per la sua discussione; più che di una discussione dev'essersi trattato di una singolare sorta di processo postbellico, svoltosi nell'aula bunker dei docenti, in facoltà di lettere. A quanto pare quasi nessuno era al corrente della data e del luogo; io che invece lo ero, sia pure per caso o quasi per caso, sono arrivato tardi, come ho già detto. Ho pescato Vincenzo, già dottore magistrale, all'ingresso dell'ateneo, quasi sorridente. E c'era lì una sua amica (ce n'erano in realtà pure altre, ma non vedo una ragione valida per inserirle nel racconto), che, al contrario, pare abbia assistito al processo. E poi arriva un'altro ritardatario, più ritardatario di me, malgrado la motocicletta: e insomma io, il ritardatario e l'amica presente siamo invitati da Vincenzo a pranzare, in virtù del dubbio merito cartesiano di esserci ritrovati al posto x in un momento y. Bello.

Oggi sono 9 giorni che non fumo.

Oggi la primavera è una bomba ad orologeria.

Ieri camminando pensavo, e pensando camminavo verso il BOA (nome sintomatico, talora).

Pensavo a come pensando camminavo per le strade di Barcellona, tre mesi fa, dirigendomi magari verso Piazza Reale. Camminavo cercando un qualcosa, allora. E pensavo, ieri, a come ieri stesso e in quel medesimo istante in cui pensavo, invece, stavo camminando senza cercare niente di niente.

Oggi, come ieri, che non fumo, che la primavera è una bomba ad orologeria, che pare una fresca giornata di giugno, che s'è laureato zio Vincenzo, oggi, come ieri, mi pare che un qualcosa stia cercando me.

giovedì 12 aprile 2007



Bisognava salvare la faccia.
Del resto oggi ho finito di registrare la mia parte dell'EP di Ilenia. Tra poche settimane avrò un cd da ascoltare fino alla nausea; confido che Marco e Danilo, i fonici, facciano un lavoro potente, di quelli che spostano i mobili di casa e che il gatto non si fa vivo neanche per mangiare, ed è costretto a cercarsi un rifugio tra i mobili traslocati, bel casino, no, non è abbastanza, più casino voglio, alza il volume, crepa i woofer, ce lo compriamo nuovo, lo stereo, che ce frega.
Pesci rossi, si chiama lo studio. Al gatto piace, per ora. Due giorni è durata la mia sessione; come speravamo. Memorie fotografiche, screenshots, istantanee. Goldfish memories.
E così, d'un tratto, come alla fine di un qualcosa, di un lavoro, una strada, come alla fine d'un tratto, mi viene voglia - addirittura - di tornare ai toni abissali del tempo che è stato e che tornerà. Era l'estate incurabile di Parigi, avevo un libro in mano, stavo per spettinarmi.
Tra sette giorni ecco che compio gli anni, chi mi conosce sa quanti. Io dico: pochi. Cose da stelle cadenti, da rockstar suiccide (e non suiccide), Kurt Jim Jimi Janis e tutta la combriccola dell'Isola dei Famosi, che ancora c'è gente nuda coi capelli lunghi e i calzoni a zampa, i calzoni a zampa anche nudi, sì, e c'è un concerto, un grande concerto, e tutti contenti, girano canne, gira anche altro, e io passo, giro anche io insomma, e passo, ma prendo volentieri un altro bicchiere di quel vino di carta, però stavolta quasi quasi è un piacere vedere gente che si diverte, e dammi un panino con la salsiccia, che così il vino scende meglio, e col vino la salsiccia, e il pane che faticosamente la contiene.
Tra una settimana faccio gli anni. Il 19 aprile, così m'hanno insegnato.
Il 22 c'è una serata con Ilenia e i Radio Scascio al completo, mega set elettrico, all'Angel's Beer, a Torre Angela, raccordo, Casilina verso fuori, robba di cinquecento metri, poi mi pare sia una strada sulla destra, ma vi farò sapere meglio.
Siete tutti invitati, tanto io a parte la batteria porto, che so, una torta, niente di più.

martedì 10 aprile 2007

Stasera vorrei essere un tifoso della Roma.

lunedì 9 aprile 2007

venerdì 6 aprile 2007

Parlavo col pesce rosso di mia sorella, un tipo di poche parole...E col mio cuginosocioecceteraeccetera, anche lui di poche parole, per lo più distratte e confuse.
Beh, si diceva che co 'sta storia dei live e del mio lavoro diurno a fotografà borsette la mia fotografia si sta standardizzando...non va bene...per niente...
Il pesce rosso stava sul balcone, nella sua ampolla verde sporco, mi ha chiesto due tiri, dice che le Camel Light gli piacciono parecchio, soprattutto da quando s'è abituato a nuotare nelle acque sporche in cui lo lascia navigare mia sorella. Non gliel'ho dati, potrebbero fargli parecchio male, e lui e uno che sà ascoltare, non me lo posso giocare così...
Il cugino gira i video, e la sua carenza di concentrazione lo porta a commettere gravi errori.
Si pensava, si diceva, che i nostri week end potrebbero essere bene impiegati in riprese "a buffo" senza un senso ben delineato, o magari con un senso, ma limando l'inconcludenza.
Pensavo, mi dicevo, il pesce rosso annuiva, che standardizzarsi sul live fà perdere la ricerca della luce, delle linee, delle forme, la scoperta delle espressioni, quella piccola piega che accentua un sorriso agli angoli della bocca. Fotografare portafogli uccide l'arte.
E ho come l'impressione che nella mia arte c'è ancora qualcosina da dire.
E il pesce dice fai un book a qualcuno. Eh, si fà presto a dire fai un book.
Un book è un'affare pesante, è un set montato e poco malleabile, un sorriso forzato e commercializzato, è un prodotto da vendere.
E sinceramente, a di là del fatto che c'è poco da vendere, ti dirò...non me ne frega manco nulla di guadagnarci qualcosa.
Dice il pesce hai fatto belle foto. Eh sì, è probabile, ma quali sono quelle più belle?
Dice e che ne sò io, sto qua, faccio un giro, ne faccio un'altro, così per sentito dire dice hai fatto belle foto. Damme na sigaretta. No.
Le foto più belle che ho fatto erano quelle che c'era il sole e non avevo intenzione di scattare foto, piuttosto farmi una passeggiata, quattro chiacchiere. O magari avevo anche voglia, e pellicole e sensori, ma che scatti qua e là, così come viene, tra un gelato e una coca cola, e una barzelletta riesumata nell'angolo in basso a sinistra del cervello, là dove c'è poca luce.
Allora capita che incontri un tronco secco sulla spiaggia e dici togliti le scarpe. E lei se le toglie e allora dici allunga un piede. Come così? Un po' più in là, ma non coprire l'altro, e ora sorridi. Ma non mi viene da ridere. Ah sì? Allora ti ricordi di quando... Ahahah...
Il pesce dice che roba è un tronco? Un tronco dico è la base di un'albero. Dice si vabbè ma che roba è un'albero? Senti dico io t'ho mai chiesto cos'è il plancton? No. Ecco, allora fatti i cazzi tuoi.
Insomma concludi dice che c'ho da fà. Che devi fà de tanto urgente dentro 'na boccia de plastica verde? dico. Me devo limà le pinne devo lucidà le squame, devo spolvera' l'alberello finto, è un problema? E poi sò affari miei... dice. Dico Allora lo sai cos'è un albero...Dice damme na sigaretta. No.
Beh mi dicevo. Ragionavo, e lui annuiva, cercando la limetta per le pinne. Devo ricominciare a fare i ritratti spensierati così come ho cominciato, quelli che poco ce ne frega se una nuvola ci offusca la giornata, o se è già sera o se, ma è tardi, boh chissà può darsi.
Mi faccio un giro fra i cinquecentoepassa contatti su myspace, qualcuno avrà bisogno di me, o magari no, ma potrei essere io ad aver bisogno di loro.
Famme un book dice il pesce. C'hai i soldi? Dice no. E allora niente book. Ma dai... in amicizia dice. E vabbè limate 'ste pinne poi ne riparliamo.
Vabbè mi fà, ma hai fatto dei nudi niente male, lascia perde myspace e buttate su un sito porno. Vai dice su www.playfish.org, che ce stanno certe alici che... eheheh...
Porco. Pesceporco. Dice maddechè aho! Dico sei un porco. A parte che nudo non è necessariamente porno e non è necessariamente erotico. I miei nudi sono eleganza. Classe. Poesia corporea. E poi te che ne sai che nell'ampolla non c'hai manco il telefono? Dice beh per sentito dire. Dico sei de poche parole, ma quando te ce metti ne dici de cazzate. La verità è che mi annoio parecchio dice, e più m'annoio più c'ho voglia di fumare. Damme na sigaretta. Non sono sicuro, non dovrei dico. Damme na sigaretta per favore... Dico lo sai che 'sta roba te fà male? Dice sì, lo sò ma sò due settimane che tu sorella me fa' stà nella stessa acqua che me so' venute le cataratte. Te riusciresti a vivere due settimane nelle stesse mutande? No, dico. Ecco, na sigaretta non me può fà peggio de così. Dammene una e basta.
Apro il pacchetto, gliela dò. E aspira i primi tiri come se d'un tratto avesse realizzato di essere il neo miliardario della lotteria di capodanno, il re dei re.
Dico insomma, devo cercare un viso giovane, caruccio. Devo cercà una che ride. Pure uno, ma una è meglio.
So' gusti dice lui, te capisco. E ora fuma col gomito della pinna sinistra poggiato alla boccia, come uno sbruffone anni '50, coi capelli pieni di brillantina e la giacca di pelle. E' un pesce che sà il fatto suo.
Mi attivo, devo cercare, devo trovare, devo proporre, o forse no, non devo far nulla, devo aspettare che arrivi, devo. Devo cosa non sò ma posso. Posso cosa non sò. Ma sò che si può fare. Cosa? E quante domande...
Domani mi metto la macchina fotografica in tasca. E che tasche c'hai aho...dice. Giusta osservazione dico. Ne porto una piccola, o magari me la metto al collo che ne sò. Fà come te pare dice. E dice poi che ce fai? Ma non lo sò dico, magari la pausa pranzo. Vai a fotografà l'alberelli al parco? dice. Allora sei un bastardo, lo sai bene cos'è un albero! Aspira le ultime due boccate di tabacco ardente e spegne la cicca con una pinna. Fà il vago. E' un pesce con stile, ma sostanzialmente un fesso, un tonno.
Non fotograferò gli alberelli al parco, o forse sì, quello che viene, le signore con le carrozzine, i bambini, quelli che portano a spasso il cane. Dice fai un po' te...ma se te denunciano o te menano non me venì a dì che non t'avevo avvisato.
Allunga le pinne e le distende dietro la nuca, si sgranchisce. Ce voleva proprio dice.
Poi chiude gli occhi, fà un respiro profondo e li riapre, e dice aspetta il week end.
Mica male dico, ma mancano ancora cinque giorni...sai che vuol dire aspettare cinque giorni quando te stai a fotografà sotto?
Dice no, non lo so, e francamente non è che la cosa mi interessi più di tanto. Ma c'hai cinque giorni per fare chiarezza, e guarda caso c'è il sole e pare primavera, e pare estate, e pare l'indefinita stagione calda che mi ricordo me ne parlava mio zio quello che veniva dal Mar dei...
E basta dico...e cerca de mette qualche virgola quando parli.
Non sono poi così abituato dice, a parlare, sono di poche parole io. Ma c'hai dice cinque giorni. Procaccia cerca un sorriso, fatte 'na chiacchierata cerca gira vaga osserva. Una la trovi dice.
Probabile dico io.
Ma, dice, anche se fosse uno...
Una dico, e per ora è meglio così.
Sò gusti.
Sò gusti.
E s'è ritirato a guardare verso gli altri balconi, i panni stesi, le limousine di acquari immensi per pesci minuscoli tropicali che suo zio una volta deve avergliene parlato.

Il primo prodotto della maravigliosa Gaigher Productions è online siòri e siòre.
Venghino venghino, munitevi di popcorn patatine e occhialini 3d, il video dura ben 7 minuti e spicci.
E mi raccomando...non si applaude prima dei titoli di coda...
http://www.youtube.com/watch?v=9yWC7wxw-co

lunedì 2 aprile 2007

E insomma stavo sul letto e leggevo cose pensate da una persona assente: che poi è quasi sempre in contumacia che si legge. Un libro, una lettera, un diario. Ma il diario è diverso, e poi un giorno parliamo del diario, che adesso il discorso è un altro. Dicevamo, è a questo che serve la scrittura, a parlare in contumacia, non in flagranza. E m'è successa una cosa strana, che leggere queste cose in contumacia mi faceva venire voglia di andare a frugare in giro, alla ricerca di certi vecchi diari, cose mie, però allo stesso tempo non mi riusciva di smettere di leggere quelle cose altrui. E allora una volta tanto mi sento altruista per davvero. Tra l'altro i diari - che poi alla fine ho ceduto all'egoismo e mi son messo a cercare - non li ho trovati, i miei vecchi diari, dico, e chissà che fine hanno fatto, la mia stanza ruba e nasconde, magari non distrugge, no, però a volte nasconde talmente bene. E poi, fosse la stanza, la casa, il problema; il problema è che tuo malgrado le cose a volte escono di casa, e magari sei tu a portarle fuori, ma più probabilmente tua madre. La cantina non nasconde come una casa, no, però più di una casa cova l'oblio. E se una cosa sta in casa, lì sta, mentre se esce di casa sono cazzi, che se non ci fai attenzione mica è detto che una cosa che esce di casa ci rientri, poi. La cantina: memoria od oblio?
Il cafè va verso la pagina silenziosa.
Ho la pretesa infame di scrivere meglio e di più. Penso ad un libro. Non al mio, o non necessariamente. C'è un libro, ci dev'essere, che sa di agrume, tipo pompelmo, ma piùttosto sul verdazzurro. E io quel libro là voglio. Adesso che ci penso, sì, vorrei scriverlo io invece, tutto di un polso.