lunedì 23 aprile 2007


Le mie canzoni si intrecciano l'una con l'altra, tutte diverse epperò se le scomponi ti accorgi che puoi ricomporle a piacimento, la strofa di questa che va bene col ponte di quella che a sua volta introduce a meraviglia l'inciso di una terza. Non è bello. Come dire che ho scritto una canzone sola, gigantesta e labirintica, che non ha una forma definitiva, e perciò non la si può ascoltare, e manco suonare né cantare. Cantare, poi, proprio no, perché non trovo più le parole; una volta scrivevo tutto, peccavo un po' di ridondanza lessicale, complice il dizionario garzanti, però scrivevo. Oggi mi rileggo.

Una volta, insomma, mi veniva facile, scrivere canzoni. In qualche rara e diabolica occasione ho avuto il senso di catturare e plasmare in forma definitiva un qualcosa di incorporeo, il senso di fissare l'effimero, quasi i numi m'avessero permesso, bendato, di cacciare le mani nel bussolotto delle idee musicali e di estrarne un numero (che peccato, pare che nume e numero non abbiano radice comune; c'è da dire che ho compiuto una ricerca troppo frettolosa, spero di sbagliarmi).

Oggi ogni rigo è uno sforzo, ogni nota una costola, ogni accordo un dubbio che alimenta il dubbio successivo, e così via, esponenzialmente. Avessi raggiunto la stasi dopo una carriera alla John Cage, sarei anche vagamente soddisfatto; o abbastanza ricco da prendere più alla leggera certe cose.

Ieri ho suonato con Ilenia. Mentre caricavo la batteria in macchina, dopo il concerto, ho vaneggiato di dovermi svegliare, l'indomani, per andare in ufficio.

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