giovedì 30 novembre 2006


Ma dove stiamo andando? Eh?
Oggi è sceso giù uno di quei freddi che dici, oh. Ma insomma questo è un discorso che meriterebbe un capitolo a parte in quella grande storia incredibile che è Cafè Absurd.
Oggi il discorso è, dice: dove andiamo? E con chi? Soli? Soli no.
Ieri un tipo che tutti conoscete mi fa, dice: "Se aspetti gli altri mangi sempre freddo." Ma io commenterei: a volte meglio freddo che soli. A volte.
Tutto mi pare brullo, la vita m'ha viziato di personaggi grotteschi e più o meno divertenti per anni e anni e ora mi sembra che in giro siano rimaste solo le maschere, maschere avanzate dallo scorso Carnevale: Pullecenella, Allerchino, Gianduria. In più ci si mette questo freddo legnoso e manco arriva e già sono tutto pieno di raffreddore.
Dove sono finite le persone di un certo tipo?

mercoledì 29 novembre 2006

Quelli che il coso...

dico: "ma poi, tutto a posto?"
me fa..dice.."oddio com'era?
"no" dico "tutto a posto?"
"ehm, si..emm..no guarda, poi dice che lei nun è , e allora che te devo di?!"
"no" dico" tutto a posto?"
"si , si, è che che c'ho sta cosa, che lei dice che nun è e allora me sa che è mejo se non.."
"si ma, tutto a posto?"
"no, si si, è solo che non ho capito quello che me voleva di.."
"si, questo lo so, ma te, tutto ok?"
"mah..oddio..aspè, che m'hai chiesto?"
"te chiedevo se era tutto a posto"
"ah si, tutto alla grandissima. "
"ma sei sicuro"
"si si, mai stato meglio"
"allora a posto così?"
"si si, e te?"
"mah.."ehm, si..emm..no guarda, poi dice che lei nun è , e allora che te devo di?!"
"no" dico" tutto a posto?"
"si , si, è che che c'ho sta cosa, che lei dice che nun è e allora me sa che è mejo se non.."
"si ma, tutto a posto?"
"no, si si, è solo che non ho capito quello che me voleva di.."
"si, questo lo so, ma te, tutto ok?"
"mah..oddio..aspè, che m'hai chiesto?"
"te chiedevo se era tutto a posto"
"ah si, tutto alla grandissima. "
"ma sei sicuro"
"si si, mai stato meglio"
"allora a posto così?"
"si si,"
"allora si siamo visti"
"si si, si si amo visti"


(Butru Sgali, lettere dalla fronte, varsavia, feltrinelli, 1654)

martedì 28 novembre 2006


Cattiva letteratura, best-seller e scrittori alla moda

Hai voglia a darti delle arie in fatto di gusti lettarari. Tanto prima o poi anche tu cadrai nelle grinfie della cattiva lettaratura o sarai sedotto dal best-seller di turno. Così un mese fa incontro sulla metro la cara V. che si fa scoprire, imbarazzata, a leggere "I love shopping " di Kinsella. Proprio lei che mi segnala di continuo appuntamenti letterari di ben altro spessore!
O sono in tanti ad aver trovato una insospettabile fascinazione per " Il codice daVinci".
E quante amiche ( e non solo) che si sono commosse tra le pagine di "Non ti muovere", tra l'altro premio Strega.
Spesso anche nelle case bene puoi trovare Wilbur Smith o Grisham in bella vista sugli scaffali.
In casa di mia zia ho trovato, con grande stupore, una copia semi-nascosta di "Histoire d'O." , leggendario libro scandalo di molti anni fa basato sulle confessioni di una sadomasochista, poi rivelatosi una bufala.
Neanche io sono immune da macchie e confesso di avere in casa non so quanti voluminosi Stephen King, che lascio puntualmente a metà; di avere tirato fino a tardi la notte per qualche paio di ruffianissimi romanzi di Andrea DeCarlo; di avere consumato, in un viaggio solitario di tanti anni fa, qualche Banana Yoshimoto, insipida e con poca sostanza.
La mia ultima caduta di stile è stata Isabella Santacroce: personaggio fantastico, estremo, adorabile, necessario, amatissimo-odiatissimo. Ho provato sia "Luminal" che "Revolver". Niente da fare. Mi annoia da morire con la sua fiera degli eccessi perpetua, i suoi fotoromanzi porno, fumettistici, iperdrammatici, senza ironia; i suoi colpi bassi affogati in una ricerca di stile che non facilita certo il piacere della lettura.
Peccato Isabella, lo dico sul serio, perchè se la tua letteratura fosse pari al tuo fascino saresti la donna della mia vita.

Quello che voglio da voi in questo spazio è un poco di partecipazione. Vi dò la possibilità di tirare fuori il peggio di voi come lettori. Raccontatemi, se vi va, i vostri piaceri inconfessabili, i vostri peccatucci letterari o se siete ex-vittime pentite di qualche trappola in forma di romanzo-ciofeca. Non vergognatevene, ogni tanto capita.
Scrivete pure se avete qualche Baricco di troppo sulla coscienza, se Paolo Cohelo ha cambiato la vostra vita per un quarto d'ora, se vi siete masturbati di recente con Melissa P.; o se, in un eccesso di zelo, avete comperato per par condicio sia Giorgio Bocca che Emilio Fede; o se una certa Isabelle Allende vi è rimasta lì o volete urlare al mondo il vostro:" Kerouac scrittore di merda!" o " Harry Potter mon amour!".
Fatelo, può essere divertente.
E' un gioco ma prendetelo con serietà, la serietà che si merita almeno, e non prendetevi gioco di me.
Potrei sta via qualche giorno. Vi aspetto al mio ritorno. Su questo schermo, a questo indirizzo.
quanno sto sotto casa te faccio no squillo e scendi.

( Franz Scoglions, Appostamenti maldestri, einaudi 2006)
'Na sera de queste vieni da me e se famo 'na magnata.

(Christopher Costa, Finzio Polkauner, Corrispondenze sulla filologia conviviale di Atanasio Cocchia, Eleuteria, Firenze 1983)

lunedì 27 novembre 2006

L'uomo, la casa, il naso, la sigaretta, il figlio di Pina, coso, Nicola, il cappello, anvedi.

(W. H. Bonanni, "L'uomo e altre parole", 1971)

domenica 26 novembre 2006

E poi un giorno me chiama e me fa: embè?
E io: gnente, così.

(Cit., Appunti per l'integrazione delle Teorie Antropologiche, 1972. Prefazione di William H. Bonanni)

sabato 25 novembre 2006

Ma pure che me chiami, ma che cazzo se dovemo da dì...

[ J. McNamara : "Teorie Antropologiche" 1969 ]

venerdì 24 novembre 2006


Lacrime di coccodrillo nelle fauci del caimano

Mi hanno chiamato per una sostituzione di due giorni.
Quando meno te lo aspetti, eh...
Lavoro. Ci scappa pure un mezzo straordinario il che sono soldi, spiccioli, ma pur sempre soldi.
E sono così contento che mi concedo con disinvoltura qualche birra di troppo dopo il concerto dei Marlene; e torno a casa all'alba che non so se è l'alcool o il sonno a rendere obliqua la mia postura.
Che bel periodo!
E a fine anno uno come me si mette a tirare le somme.
E allora mi rendo conto che il lavoro è lavoro, gioie e dolori, ma che se vado a vedere non ho fatto quasi altro che lavorare- ohimè, in maniera indiretta certo- per una delle aziende del signor Berlusconi.

mercoledì 22 novembre 2006


Robba deducazione

Insomma me chiama Erguera e me fa dice "stasera devo uscì co gente che nun conosco"..dice "che faccio vado?"..capirai, a me me lo venghi a chiede, co tutto quello che m'è successo l'antro giorno!. mo, quello che m'è successo è na storia lunga e invece er tempo mio è corto..ma ve vojo di na cosa lo stesso..quanno escite co gente che nun conoscete armeno abbiate la carineria de presentavve..nun fate come me che m'avvicino, m'accollo ai tavoli de quelli che nun conosco, me siedo e inizio a magnà a beve, ride e scherzà quanno questi nun sanno manco coma ma chiamo...vabbè che nun se conoscemo, che nun c'avemo manco n' amico ncomune, ma un minimo de cosa ce vole no?! poi pura escì co gente estranea, ce poi pure anna ar cinema nsieme..basta che quanno quelli se guardano tra de loro e chiedeno "ma questo chi è, che vole?" voi je dite "piacere Erguera, piacere Ernasone",..insomma quello che, er noma vostro, come ve chiamate..e poi magari voo pagano pura loro er bijetto pe entrà..co eeducazione, o diceva sempre mi zio Antimo, se ottiene tutto, pura a sorca.

lunedì 20 novembre 2006

Se non è un genio Stevie Wonder..

domenica 19 novembre 2006


Dice fa "ma perchè non ti fai gli affari tuoi?!"
"è che sono proprio parecchio riservato".

sabato 18 novembre 2006


¿Encontraría a la Maga? Tantas veces me había bastado asomarme, viniendo por la rue de Seine, al arco que da al Quai de Conti, y apenas la luz de ceniza y olivo que flota sobre el río me dejaba distinguir las formas, ya su silueta delgada se inscribía en el Pont des Arts, a veces andando de un lado a otro, a veces detenida en el pretil de hierro, inclinada sobre el agua. Y era tan natural cruzar la calle, subir los peldaños del puente, entrar en su delgada cintura y acercarme a la Maga que sonreía sin sorpresa, convencida como yo de que el encuentro casual era lo menos casual en nuestras vidas, y que la gente que se dan citas precisas es la misma que necesita papel rayado para escribir o que aprieta desde abajo el tubo de dentífrico.

Rayuela, Julio Cortázar.

venerdì 17 novembre 2006


SAGRA POPOLARE ED AUTOGESTITA DELLA FOTO BANALMENTE MANIPOLATA


Quando disegno me stesso, non riesco mai a peggiorarmi, anche se realizzo una caricatura. Quello che manca sempre alla mia arte, però, è il colore. Non sono mai stato bravo a dar toni efficaci alle mie creazioni, e allora tutto rimane spesso un lavoro a metà, uno scontrino incastrato nel registratore di cassa. Ma ho deciso di incominciare a dedicarmi al cromatismo spinto..

giovedì 16 novembre 2006

Superfoley e fratellanze varie

Si lavora, si suona. Si suona molto. Ho scoperto che il mio gruppo si chiama Superfoley. Avrei dovuto sospettarlo: la sala prove è tutta tappezzata di fogli A4 con su scritto: Superfoley.

E intanto Beatstar, aka Julio Higuerra, mi è venuto a trovare con Antonio, una settimana. Barcellona li ha stanati, come è normale che sia. Un giorno, magari, ricalcheranno le vie della ciudad da ciudadanos, come faccio io. Hanno visto parchi, musei, discoteche, strade, piazze, donne e altro. E io intanto un po' lavoravo, un po' stavo con loro. Parliamo di vita, società, filosofia. Beviamo e mangiamo. Senonché un giorno pigliano e partono.

Ieri sto al lavoro. Lavo, servo, preparo, sgombero tavoli zozzi. Sembra una mattinata tranquilla, insolitamente tranquilla. Verso le 11 entra nel ristoranente un tipo con gli occhiali scuri. Mi sorride e ordina un caffè. Lo guardo qualche istante in silenzio, aggrotto le ciglia. E' Arduino Kakor.

martedì 14 novembre 2006

I primi passi falsi di uno scrittore con un grande passato davanti

Io quell’inverno a Roma non c’ero.
C’era senz’altro Noruega, con quei due spilli d’occhio sopra gli zigomi zagomi e un corpo tutto guglie, a sberleffo d’un’intelligenza abbastanza piana.
C’era, e non poteva mancare, la Coltellinaia, bella ma però mica bellissima, troppo fumettistica nel mento allungato sulla personcina scattante, e nel bianco dei denti allegri e un tantino ribelli, occupata, quando non pensava a me, a scorrere alla svelta con le sue pupille di liquirizia infelice riviste fragranti di stampa e di essenza di garbate abitazioni col giardino e senza, e normalmente coi parati arancio, à la mode de chez nous; ed era, costei, in compagnia bella ancorché meno bella di lei: Clelia e Clelia, ad esempio, eccezionalmente ordinarie, capivi che andavano in coppia almeno per il gusto di far credere che il loro nome non fosse poi raro, oltre che speranzose che le loro ordinarietà potessero in qualche modo vicendevolmente annullarsi; oppure il Topodifogna, un ragazzetto del Nord che non si sapeva cosa ci facesse dalle nostre parti, detto colì evidentemente per la faccia a punta, i baffetti molli e la passione per il nuoto lacustre, specie di tardo inverno e di prima mattina; e poi Vera, già Angela, donna falsa per almeno quattro ordini di ragioni: 1 – era falsa e basta, 2 - rinnegava il proprio nome di battesimo, 3 – nome che, essendo lei certamente cattivella, le si addiceva già poco e niente, e 4 - gli preferiva, impunita!, il nome Vera. Manco straordinario, peraltro.
C’erano, infine, Francesco e Maria, rinchiusi in una storia amorosa e in una geografia sessuale decisamente scolastiche, sebbene andassero oramai tutt’e due per i trent’anni, suppergiù.
E io, allora? E io no, a me non andava di starci, visto come s’erano messe le cose da quando Parlagrieco aveva preso ad alzare la cresta, la voce e il gomito. Ad alzare i prezzi invece ci aveva pensato Corrado, che noi chiamavamo Allagrande per quel suo modo istrionesco di ammiccare e cedere a certi sorrisi sbracati, non meno spontanei che irritanti, non più spontanei che circostanziati; dodicimila panino e birra iniziava ad essere una rapina, ma ogni sera transitava tanta di quella gente avanti e indietro per l’Absurd a dargli una buona ragione!
Nel periodo appena antecedente la mia rotta ineluttabile – l’autunno era già pericolosamente in finestra - a Parlagriego le tasche gli tintinnavano abbastanza forte mercé quell’insediamento mica male che aveva rimediato presso la redazione dello “Zyx”, non si capiva bene se per demerito o per calcinculo, e allora ogni notte all’Absurd e giù boccali a perdifiato, di solito a partire dall’una, quando i rotocalchi stavano già spalmando sulla velina le sue magnifiche trovate, e potevi avvistarlo ondeggiare tra un tavolo e l’altro, umettato e fatiscente come un’arcaica chiatta felice che si abbatte sugli scogli strapazzata dalle maree (l’equipaggio disperatissimo, ormai). Con me non parlava quasi più, né da lucido né quand’era in condizioni normali. A dire il vero io per primo non avevo di che conversare con lui (come con parecchi altri di quell’ambiente) e avevo poca voglia finanche di ascoltarlo in silenzio - malgrado mi fossi esercitato a tenere un’espressione interessata sul volto quando pensavo ai casi miei, cioè sempre; tutta colpa di quella sua accelerata inclinazione a schiamazzare motti lambiccati e solennemente vuoti, sempre reduce com’era da soirées o matinées più o meno parcamente trascorse giù nella polvere del giornale - bel posto però, la redazione – dove, rincantucciato nel bolero verde oliva, ingoiava di tanto in tanto una saliva tutta sua, densa di bravura e vanità, intento a stanare tra le carte della ribaltina la parola che squarciasse l’elzeviro, nello spazio breve e immortale che separava una sigaretta da uno scotch di marca o da un caffè automatico - a seconda, ma non sempre, degli orari di lavoro.
Fosco Parlagrieco non era, o almeno non era sempre stato, una brutta testa.
Il fatto è che l’estate prima, ai Bagni Esperia, le notti erano trascorse metà viscose e metà zuppe di vento e filtri di sigarette americane; e, vaffanculo, c’era stata pure una terza metà, fatta di ritorni a piedi col pianto in gola senza motivo apparente. Noruega mi aveva consolato senza chiedere nulla a baratto, tabacco a parte, ed io lo avevo investito incurante del mio pudore e della sua pazienza, e avevamo cercato insieme, spesso tagliando in linea retta l’afa sorda di quella parte di Ostia lontana dal mare, una soluzione condivisibile a certi malanni comici come l’amore e come gli ultimi quindici, vent’anni di storia del cinema italiano. Gli altri, Parlagrieco e alcuni annessi che non avranno peso nella storia, restavano a lungo a ciondolare sullo spiaggione chiassoso.
Mi manca la Cinémathèque Française. Lo schermo che si adatta al formato del film, allargandosi a mo' di diaframma esausto, prima della proiezione. Gli intelletti canuti e petulanti delle prime file, le ragazze dai lunghi capelli nerissimi delle file centrali. Il caffè automatico, la sala d'aspetto pensile (e di fatto pensile). Il giardino. Le chiuse d'autore.
A detta di K il miglior cinema del mondo (noto).
Mi hermano mi ha portato una videocamera.

lunedì 13 novembre 2006

...che poi uno si dice che comunque ci sara' una conseguenzialita' nelle cose no? Beh, andiamo con ordine. Quando inizi stai a zero. Ok, quindi sei disposto a fare qualsiasi cosa, a qualsiasi prezzo, prendi quello che viene. Inizi, parti con le migliori speranze, non hai niente da perdere perche' hai tutto da dimostrare. Non ti conosce nessuno, e tu gli fai vedere che ci sai fare, che il potenziale e' enorme. Accetti di buon grado anche quelle cose che loro ti fanno fare non perche' ti ritengono bravo, ma perche' a loro non va di farle e le smollano al coglione di turno, che sei sempre tu. Ma e' un passaggio necessario, e lo accetti di buon grado, sei uno che non si e' mai tirato indietro. Passano i mesi. Da un posto all'altro, cambi prima indirizzo, poi mansione, poi citta'. Fai un sacco di esperienze, conosci gente, vieni apprezzato, e soprattutto, udite udite, ti piace quello che fai. Ti dici che uno piu uno fa due, che dopo A viene B e quindi e' logico che la conseguenza sia C, e che fino alla Z magari no pero' almeno a un'onesta L ci arrivi. Macini chilometri, tutti ti predicono il meglio, qualcosa la sai fare e gliel'hai dimostrato. Forse un tuo posto nel mondo l'hai trovato, dopo anni che ti sbatti.
Ma.
All'improvviso ti ritovi fermo, proprio quando non te l'aspettavi, e semplicemente non sai il perche'. Probabilmente perche' non c'e' un perche'.
E' un po' come in un viaggio. Puo' arrivare un giorno in cui quella stessa strada che sembrava asfaltata diventa una mulattiera sconnessa, una di quelle che avevi trovato all'inizio della camminata e che pensavi ingenuamente di esserti lasciato alle spalle. Li' dove la tua cartina segnalava un ponte e poi un villaggio dove fermarti un po', toh, c'e' un burrone. Vaglielo a spiegare a quello che ti ha venduto la cartina, quello ti dira' "che vuoi da me? mica e' colpa mia!". E il bello e' che ha anche ragione. Ti aveva detto che la strada era tutta dritta, a un certo punto quasi in discesa, ma mica e' colpa sua se li' dove doveva esserci un ponte c'e' uno strapiombo. Diciamo che ti sei trovato in un punto della strada dove per tutta una serie di circostanze non puoi andare oltre. Rebus sic stantibus, no se puede, no way. Ora, tu le gambe le hai, e anche buone. Camminare non ti spaventa, sono mesi che non ti fermi, che vuoi che sia qualche altra settimana? Ma il problema resta. Il burrone, caro mio, e' troppo alto. Stavolta e' proprio impossibile da superare. Allora, o cerchi un'altra strada, ma chissa' quanto e cosa potrebbe costarti, e a quanto pare non ce n'e'. O ritorni indietro, e ripercorri quello che gia' conosci a memoria, ma che non ti portera' dall'altra parte. Oppure cominci a sbracciarti, a mandare segnali, sparare razzi a quelli del villaggio, dall'altra parte del burrone. Mandate qualcuno, aiutatemi a costruire sto cacchio di ponte, io ci metto braccia e gambe, corpo e anima. Ma senza il vostro legno e le vostre corde io di la' non ci riesco proprio a venire. Magari a voi non ve ne frega niente, ma fidatevi, ci guadagnamo in due. Sono divertente, conosco un sacco di storie, strimpello anche un po' il piano. Fatemi provare almeno, poi se vi sto antipatico potete sempre buttarmici, nel burrone.
E' un po' che sparo bengala, grido, mi sbraccio, ma dall'altra parte sembra proprio che non mi vedano.
Voi che leggete, avete mica due pezzi di legno e un po' di corda? O il numero di telefono di qualche abitante del villaggio?

Poi una mattina arriva Alejandro, un messicano che avevo intravisto varie volte tra le mura domestiche, e entra in camera mia e inizia a prendersi tutto, lo specchio, i mobili. Mi fa, questa è tutta roba mia, me la porto via, in una nuova casa.

Prossima tappa: Ikea

sabato 11 novembre 2006


Kiko dovrebbe chiamarsi Ghigo, per come suona e per il naso. Per di più conosce i Litfiba, quelli di Desaparecido. E' francese di nascita e di cultura, indossa abiti da gondoliere e si pettina come Bono Vox. Lo incontro e lo riconosco dopo un labirintico peregrinare, al suddetto settimo piano di un palazzone inverosimile, risparmiandogli la rogna di scendere a cercarmi alla stazione della metro di La Pau.
Albert fa il medico ed è evidentemente un catalano: parla poco ed ha la faccia pensosa. In compenso canta. E suona il piano.
Chavi è Gabriel Omar Batistuta ai tempi della Fiorentina, con un basso in mano.
Ho trovato un gruppo. Un'officina in cui lavorare, tra l'altro, su certe canzoni che avevo da parte, e che non ho mai tirato fuori perché mi parevano troppo orecchiabili.
Energy (revisited)

Insomma il discorso è questo, è venuto fuori un higuerra batterista in grande spolvero e il gruppo, oh, non gli pareva vero, ma io lo sapevo che un batterista come me non lo potevano rifiutare. Insomma, il provino l'ho lautamente superato.
Ma la cosa più assurda era la sala prove, al settimo piano di un palazzo, corridoi labirintici con porte e porte, tipo uffici, decine di porte, ogni porta una sala prove, ogni sala prove un gruppo che suonava, cose mai viste ma nella gran parte dei casi già sentite.

Ta lueo

venerdì 10 novembre 2006

Uno fa una scelta nella vita: la palestra o l'adsl, per esempio; il viaggio fuori o il frigorifero.
Un maglione di marca può costare anche 50 euro, per un paio di certi jeans 100, 150 euro come niente. E le scarpe. L'altr'anno tutti avevano ai piedi Nike Shox, quelle con le molle sotto per intenderci. Ho visto una sola ragazza a cui stavano veramente bene. Di lei ho sempre pensato: "Però, che tette!".Il fatto è che è magra magra. Se è tutta roba sua o c'è qualche sofisticata architettura da slacciare a sorreggere il tutto non lo so. Però anche i reggiseni costano.
E io che ultimamente ho dovuto fare rifornimento di mutande al'Ovviesse ho speso 8 euro per sei paia di braghe. Mi dice bene.
Chissà quanto costano certe belle mutande che vedi talvolta indosso a certe ragazze. Quando le vedo penso che non potrò mai e poi mai voler diventare donna. 'Ste mutande ci hanno qualcosa di affascinante e disgustoso insieme, proprio come le donne o come l'immagine che le donne devono spesso portare di sè.
Fatto sta che se rinunci al tuo cappuccino quotidiano salvi una vita in Mozambico ( o in Etiopia?) come dice un cartello all'interno dell'ufficio postale. Ma puoi migliorare anche la tua: meno caffeina, meno carboidrati da eventuale cornetto, una spesa evitabile da reinvestire altrove, in beni di prima necessità.
E io davvero non capisco come faccia certa gente a fumare Marlboro tutti i giorni. Quasi 5 euro un pacchetto. Ma siamo matti?
E se togli di qua e togli di là ti restano i maledetti litri di benzina, ti restano gli inconvenienti tipo una caldaia che ti molla per sempre di sabato mattina. Ti restano i soldi per il cellulare, magari l'affitto o il mutuo, le medicine, le tasse, il dentista, la spesa al supermarket, il taglio di capelli, l'igiene personale.
Essere cinefili ( o cinofili) è un lusso. Il Sabato sera something just for kids. La compagnia di una donna è spesso una spesa. Anche i contraccettivi costano e in genere i preservativi si utilizzano una volta soltanto. Quindi, moderati pure nelle scopate.
E se penso a quante disparità ci sono nella società: a chi certi problemi forse non sa neanche cosa sono e chi " non ce la fa ad arrivare alla fine del mese" (espressione orribile, ne convengo) ; a chi abita al centro e chi in periferia; a chi ha il garage e chi si avvelena per un parcheggio; a chi non riununcia a niente perchè può e chi non rinuncia a niente- non so perchè- e si riempie di debiti mi sento pronto per scrivere il remake del "Manifesto del Partito Comunista", diventare un rapper di successo o il nuovo Rino Gaetano.
Ma il cielo è seeempre più bluuuuuu!
Non dico aridatece la lira, ma almeno i libri a mille lire ( o a un euro; o a cinquanta centesimi, fate un po' voi).

martedì 7 novembre 2006


Catena alimentare

Il cameriere è un mestiere molto bello, e questo non me l'aveva mai detto nessuno.
Uno si siede al tavolo, ordina qualcosa da mangiare e bere e non si immagina quale macchina complessa e perfettibile sia un ristorante. Non immagina che ogni cosa che mangia sporca un tavolo, uno o più piatti e bicchieri, varie posate, un posacenere, tutte cose che poi vanno lavate perché la macchina continui a funzionare. Ti vedi il cameriere che passa con i piatti in mano e pensi - quando pensi - che sia la semplice spola tra una cucina remota ed inconscia ed un tavolo.
Ma il cameriere di tavoli ne ha cinque, dieci, ed ogni tavolo va apparecchiato per un certo numero di persone, ciascuna delle quali sporca uno o più piatti e bicchieri, varie posate, un posacenere, tutte cose che poi vanno lavate perché la macchina continui a funzionare. Giacché un ristorante è una macchina complessa e perfettibile che funziona grazie all'abilità del cameriere di arginare la sua (del ristorante) esponenziale tendenza al delirio della distribuzione del cibo ai clienti e del sudiciume che tale cibo diviene non appena il cameriere lo depone su un tavolo. Il fatto che il cliente mangi o meno è del tutto marginale. Quando un cameriere affida un piatto al cliente sa che ciò che gli sarà reso è lo sporco. Roba da buttare, da lavare, da asciugare, da riordinare, perché la macchina continui a funzionare.
Oggi ho fatto chiusura, era un turno straordinario, mi chiama coso, Jorge, e mi fa: puoi venire tra un'ora? Sì, posso venire. E piglio e vado, lavoro. E fare chiusura è un bel casino, perché hai voglia ad arginare lo sporco man mano, mentre fai il tuo lavoro di cameriere, quello di facciata, quello di spola: alla fine resta un macello di cose da buttare, pulire, lavare, asciugare, riordinare perché il giorno dopo la macchina riprenda a funzionare. E bisogna infilare le mani nella merda, bisogna portare fuori i secchi della mondezza, spazzare, passare il mocio, tirare le sedie sui tavoli.

Capite bene che il cameriere, il lavoratore, è demiurgo, è geogono.
Perché la mia permanenza in questa città continui a funzionare, perché tutto il mondo continui a funzionare, devo lavorare.
Il mio lavoro è il cameriere in un ristorante, in una catena di ristoranti, ed è un lavoro che ancora non so fare bene. E' un mestiere, ed ogni mestiere per farlo bene ci vuole mestiere. Ed ogni mestiere a farlo bene ti dà soddisfazioni, e a farlo male comunque ti dà denaro, ti da da mangiare.
Lavorare è una delle cose più belle che abbia mai fatto.

lunedì 6 novembre 2006


Venerdì un gruppo avviato deve provinarmi come batterista. Fanno rock di quello che ci piace a noi. Ho trovato l'annuncio su loquo, una specie di Portaportese (o Porta Portese?)

Dice che sono disperati, che sono mesi che cercano il batterista giusto e non lo trovano, che c'è gente che non ha proprio idea di come si suona una batteria, si siede sullo sgabello e via, tira avanti, tira indietro e ogni rullata si perde il resto della cricca per strada.
Ecco, io questo genere di problemi proprio non ce li ho e non ce li ho mai avuti. E mai ce li avrò.

Venerdì mi provinano, mi piace 'sta cosa del provino. Me la sento calla quando c'è di mezzo il provino.
Dice: siamo forti, qua si fa il disco, insomma cose così. Dice lui, Kiko, il bassista.

E' giunto il momento di comprare le bacchette. Poi se mi scartano babbè, pazienza, ci mangerò cinese. Una cifra di cinese.

Mi dedico Amberdawn di Malmsteen, in mancanza di meglio.

domenica 5 novembre 2006

Centodieci Collodi

Per un mese porti curriculum in giro. Dici che sei uno studente, un laureando, e che non hai molta esperienza ma che ti va di lavorare. E non ti si fila nessuno.

E poi una mattina uno si sveglia e riscrive il curriculum, lo riscrive pieno di fregnacce, e manco la foto ci incolla. Ci togli tutta la fresca che sei uno studente, che tanto non gliene frega niente a nessuno. E lo distribuisci tipo volantini della discoteca, a chi capita. E allora vedi che ti chiamano in diecimila e tutti che ti vogliono a lavorare, non fa niente che poi non sai fare un cazzo, non sai manco passare lo straccio, basta che dici così: che hai lavorato già: ho già lavorato, eccome, e che non ho lavorato allora? ti sembro uno che non ha mai lavorato? c'ho la faccia di quello che non ha mai lavorato in vita sua? eh?
Toccherebbe riflettere su questo.
Mi sono immaginato davvero le esperienze di cameriere che non ho mai fatto, a Londra, a Parigi, a Ostia. Ti fanno l'intervista, il coso, come si chiama, il colloquio e tu racconti, ho fatto questo e quello, anni e anni l'ho fatto. E a loro gli va bene.
D'altra parte in un qualsiasi posto dove si vende qualcosa ci vuole gente che sa raccontare le fregnacce. Allora se dici che hai lavorato anni e anni e poi non sai manco passare uno straccio, il manager dice, fa: eccolo, abbiamo trovato l'uomo che fa per noi, uno veramente bravo a raccontare le fregnacce.

mercoledì 1 novembre 2006


Cose molto interessanti

Il mio centesimo post è passato del tutto inosservato, come speravo.

E insomma ieri stavo ad un corso universitario, un seminario di Filosofia presso la facoltà di comunicazione dell'Autonoma, Barcellona. Si parlava di molte cose, soprattutto di cose che non sapevo. Si diceva, o almeno questo ho voluto capire, che "natura umana" è una definizione lievemente ossimorica, poiché ciò che (per quanto ne sa l'uomo) distingue l'uomo dagli altri animali è la ribellione alla natura, la Hybris che sta alla base di molto mito e che troviamo, ad esempio, nella Genesi biblica.

Insomma: l'artificio, l'utensile, il simbolo, c'est à dire la capacità d'astrazione. E la capacità di riconoscersi che comunque non è slegata dalla prerogativa umana di poter/saper costruire specchi. Se venga prima il concetto o l'oggetto non ci riguarda, si tratta ad ogni modo di astrazioni di cui un gatto ed un elefante non sono capaci; anzi, si diceva che l'elefante, pare, si riconosce allo specchio, ma con quelle zampe prova tu a costruirne uno.
Gli uccelli fanno il nido ma non si chiedono perché. Alcune scimmie hanno polsi adatti ad un orologio ma non dissertano sul sentimento del tempo.
Gli altri animali, diceva il prof, esistono e punto. L'uomo, la donna, l'essere umano, si astrae.
La natura dell'uomo è artificiale (tautologia e ossimoro, quest'anno vinco il nobel), è simbolizzata.

L'utopia del ritorno alla natura ce la spiega Kubrick, in un'ellissi che ha fatto la storia del cinema: l'utensile osso che si dissolve (ora non ricordo se era una dissolvenza o uno stacco, ma no, era una dissolvenza) nell'utensile astronave, in 2001. Odissea nello spazio; la differenza è solo quantitativa, non qualitativa.
Quando l'essere umano si intuisce tale il danno è fatto, hai voglia a rifugiarti in campagna.
Centesimo post.