lunedì 30 ottobre 2006



" Le anime belle della sinistra... le figurine del presepe... Ne ho incontrate tante di persone così"...

Io ne ho incontrate moltissime. Spesso mi hanno lasciato indifferente, ancor più spesso mi hanno sospinto alla riflessione.

Serve ancora, essere di sinistra, in questo nostro tristo paese? Io credo di si. Forse non abbiamo bisogno di sinistri alla sinistra. Basterebbe cercare la verità, ogni tanto. Ed interrogarsi sui problemi reali, fingere di essere migliori per potersi migliorare.

Bah, astrusità mattiniere..

domenica 29 ottobre 2006


Energy (aborted)

Vado a suonare. Boh, vediamo un po'. La batteria. Vediamo se mi ricordo ancora come si tengono in mano le bacchette. Che non ho, non le ho comprate, per carità, un gesto troppo serio, comprare le bacchette. Se ci stanno nella saletta bene, sennò suono con le mani, con quello che capita. Vediamo che esce fuori.
Sto ascoltando Energy degli Apple Device, un pezzo germinale che promette bene e prometterebbe meglio se potesse passare per le mani giuste: le mie. Vero Maso'? Mettici un sassofono e lima il metallo, che gli spigoli non vanno più di moda.
Da quant'è che non scrivo una canzone? La verità è che ne ho scritta una sola, in varie versioni. Ora devo scrivere la seconda. Sono anni che la rimando.
Andare a suonare può essere un bel modo di rimettere in circolo una dozzina di note musicali tra le spire della mia mente digestiva. Forse sta per chiudersi il decennio sabbatico.
Ma è più probabile che io sia un musicista in pensione; in tal caso oggi vado a sottoscrivere l'adesione all'albo dei geni abortiti.
Bravo Maso', bel pezzo. Mettici un sassofono.

giovedì 26 ottobre 2006



Siamo nell'era dell'amore scettico.

L'amore dai guanti di velluto, dai piedi di piombo. L'amore che deve vedersela con la distanza mobile, le intemperie assiomatiche, la rete (che chi la butta pesca), Babilionia, l'emancipazione dello sguardo; e l'amore che soprattutto deve guardarsi da sé e che di sé ha paura, o almeno così dice, a mio avviso mentendo. C'è di fondo un'incoerenza, una singolare disonestà che consiste nel predicare male e razzolare bene. Mi piacerebbero mille donne al mese ma di una sola non posso fare a meno. Oppure, che poi è lo stesso, amo tutte le donne fuorché la mia.
Il problema è problematico, cangiante, inconsistente, pazzesco, anvedi, una fresca, una frasca.
Sai c'ho una storia un po' così, non si sa, intanto ci vediamo, poi dopo vedremo.
È soprattutto l'era dell'amore differito e intravisto, in nuce e mai in luce, vissuto sull'istante-lama, sull'aïon; un amore che non si sedimenta e non si progetta.
Io vedo solo coscienze contese tra deliri di emancipazione sessuo-sentimentale da un lato e un senso del possesso d'origine sottilmente cattolica (e che fu prealessandrino) dall'altro.
Certe volte, dopo eccessivi bagordi, mi viene addirittura voglia di sposarmi in chiesa, domani, dopodomani al massimo. Con trecento invitati, e poi si va a mangiare a Formia. Il pesce. Buono, il pesce.

Intanto, dice, in Italia calano i matrimoni tra connazionali e aumentano quelli “misti”. In un'altra vita sono stato un poeta di un certo livello e non credo che tale incremento dipenda dalle agenzie matrimoniali. È che il proverbio moglie e buoi dei paesi tuoi è uno dei peggiori che si siano mai tramandati.

Per me il discorso è serio. L'amore scettico.

Vado a mangiare.

domenica 22 ottobre 2006

Mercoledì ci hanno dato il congedo a lavoro. Così mi ritrovo senza niente da fare nel mezzo della settimana. Il Venerdì si presenta in anticipo di almeno un paio di giorni, ma solo per me. Solito problema per incastrare impegni altrui e tempo libero mio e viceversa; fatto sta che mi ritrovo a interrogarmi sul da farsi e il primo giorno mi sembra non passare mai: vado al cinema un paio di volte e vedo due buoni film; spendo un po' di soldi in vestiario adatto al clima prossimo venturo; gironzolo pomeriggio e notte in quasi perfetta solitudine; vado a dormire tardi senza motivo.
Soprattutto cammino per strada con quell'aria distratta di chi deve pure passare il tempo senza farselo pesare. Passo davanti a una vetrina che espone teschi di plastica, parrucche viola, abiti da strega, pipistrelli finti e la cosa mi mette di buon umore, non so perchè, e non capisco che negozio sia quello che ho di fronte. Poi mi accorgo che altro non è che il cartolaio vicino casa e mi ricordo che siamo a Ottobre, quindi fra poco è Halloween.
Ci rimango male, deluso.
Ma poi mi chiedo perchè.
Allora capisco che l'unico motivo valido per criticare la festa di Halloween qui da noi non è la sua provenienza statunitense con i soliti strascichi annessi; non è neanche solo un fatto di tradizione; ma la consapevolezza che è un divertimento vuoto, legato a niente, quindi una spinta un po' isterica al divertimento, un divertimento con la coscienza sporca e che non potrà mai avere quel senso di liberazione del vero divertimento: un divertimento giusto per rompere la monotonia.
Peccato, anche se per un attimo mi sono sentito riconciliato con la festa di Halloween.
Ma mi viene in mente una cosa che c'entra poco.
Più o meno lo stesso giorno, di sera, mi interrogavo davanti a una bancarella sull'opportunità o meno di spendere qualche centesimo in più di otto euro per un romanzo di Palahniuk quando mi passa davanti una ragazza dalla bellezza devastante. Magra, vestita di nero, con uno strano copricapo che non ricordo, forse un cilindro, trucco nero: una tipa che assomiglia parecchio alla Death del fumetto di Neil Gaiman, per intenderci.
Rimango senza parole e la mia testa si fa brulicante di pensieri che non saprei ripetere, tanto che devo allontanare lo sguardo da lei per non soffrire troppo. Darei dieci anni della mia vita per starle affianco, diciamo quelli dai 12 ai 22, ai quali rinuncerei volentieri.
Una persona così non può girare da sola, mi dico. Allora mi accorgo di una compagnia di ragazzi poco più piccoli di me sul fondo dello stand, probabilmente amici suoi: gente con la quale, a prima vista, non scambierei neanche due parole. Prima di andarmene mi volto di nuovo e la vedo vagare ancora tra le file di libri mantenendo un aristocratico efficacissimo distacco da tutto e tutti. Chissà che libro cercava, chissà che cosa legge di solito.
Ma anche... ieri sera in videoteca: una trentenne con una lunga gonna azzurra, capelli rossicci, occhi chiari. Qualcosa che colpisce, più che altro per l'insieme, per il look inusuale e studiatissimo, o forse perfettamente naturale. Si accompagna a un tipo torvo, nerovestito, con un cilindro (questa volta sono sicuro), piercing al naso, pizzetto puntuto. Una sorta di Slash diabolico, ma magari anche simpaticissimo in privato. Anche in questo caso non ho capito bene che film hanno preso alla fine.
E... mentre uscivo da una discoteca tempo fa, e mezzo ubriaco mi avviavo verso la macchina parcheggiata a un chilometro di distanza. Una coppia di dark in un ampio spazio vuoto: lui un Jack Skeleton timido; lei forse calze a rete, stivalone con zeppa, trucco pesante regolamentare, capelli rasati a metà nuca, piercing vari. Eppure mi faceva una gran tenerezza perchè parlava con grande calma a voce molto alta scandendo bene le parole, forse per abitudine, diceva qualcosa a proposito di certe "mezze verità", il tutto con un marcato accento che non sono stato in grado di identificare, forse pugliese.
Una dark pugliese. Fantastico. Il mondo è pieno di cose bizzarre, meravigliose da scoprire.
E' a lei che dedico questo mio ultimo post.

sabato 21 ottobre 2006

Storia avventata di merda e altre cose

Eppure ci si scorda sempre qualcosa. Salutare qualcuno, l’asciugacapelli, la macchinetta per la barba, gli occhiali da sole, il vestito della festa. L’asciugacapelli. Salutare qualcuno.
Insomma, cammino e cammino, e a un certo punto mi succede una cosa, e mi dico “Questa cosa mi resterà impressa, sarà il primo ricordo di questo viaggio.”
E la cosa, roba da non credere, la cosa è una gran puzza di merda, mi spiace, sembrerà una barzelletta, di quelle che si ride quando c’è la parolaccia, cacca, culo, pipì, e più la dici grossa e più la dici a voce alta e più si ride, cacca, pipì, scemo, cretino, culo. Ma non è così, non è una barzelletta, è tutto vero. Una puzza avvolgente, inconfondibile. Tanto che Piòtr mi fa capolino dallo zaino e mi fa, dice: “Dove siamo? Siamo già arrivati?”
Gli faccio, “Mi manca l’aria, con questa puzza. Ci avessimo messo anche l’aria, nello zaino… Ma ci si scorda sempre qualcosa. L’asciugacapelli, salutare qualcuno. L’aria.”
“E senz’aria,” mi dice Piòtr, con la testa fuori dallo zaino e le mani aggrappate al bordo, “senz’aria le farfalle colano a picco, caro mio”
“E senz’aria niente vento, e senza vento i soffioni sembrano pali della luce, sembrano”
“E i capelli sembrano un cappello, sembrano”
“E non c’è il gusto di tirarsi su il bavero della giacca”
“E nemmeno di fumarsi una sigaretta, insomma non c’è il gusto di fare un po’ i misteriosi, con i capelli al vento, il bavero alzato, la sigaretta in bocca, e mettersi ad un angolo di strada a guardare le donne che passano”
“E poi senza vento le donne non devono reggersi la gonna”
“E gli uomini tanto meno”
Ma insomma Piòtr, l’avrete capito, è uno che sa le cose, uno che ha studiato. Piòtr è uno che le cose del mondo le guarda in un certo modo suo particolare, e non è da tutti. E allora mi fa, dice “Vedi, non tutti i mali vengono da soli, a volte sono pure male accompagnati. Ma in questo caso bisogna guardare il lato positivo della faccenda”
“Come sarebbe a dire?”
“La puzza di merda,” mi fa, “è pur sempre una traccia, un indizio da seguire.”
“Porca miseria,” faccio io, “e perché mai?”
“Perché mai? Porca miseria,” mi fa, “perché mai? E la puzza di merda chi la porta, se non il vento?”

venerdì 20 ottobre 2006

Per prima cosa entro che mi son scordato di strofinare i piedi sullo zerbino all'ingresso. Così lascio impronte di scarpe sul pavimento, ché in questi giorni ha piovuto parecchio e ho le suole bagnate.
Mi levo la giacca sgocciolante e ma la appoggio a fianco mentre prendo subito posizione sul primo divano. Poi, compiaciuto, mi liscio i baffi con ostentata noncuranza.
Baffi? Quali baffi? Si, insomma, i baffi non ce li ho ma faccio comunque il gesto.
Sorrido. Se non fosse per questi miei denti nessuno direbbe che sono ancora giovane.
Toh, ho anche il bastone. Mi da un'aria così demodé.
E l'andatura curva? E i miei capelli bianchi insolitamente lunghi?
Oh, e il mio tono di voce? Il mio capolavoro! Una voce così' grave, roca che non so nemmeno io da dove mi è uscita fuori. Mi fa venire voglia di parlare, di dire tutto quello che mi passa per la testa, ora!
Così apro subito bocca: " Che io possa mangiare frittura di rane per il resto dei miei giorni! Esigo spiegazioni! Che d'è sto nome all'ingresso CAFE ABSURD? E chi è stu curnutu di Higuerra, e chill'autro fetente di Sgamas, e chillu quaraqquaqquà di Falena? E stu premio Oscar de Scalia? Lecannù e madama e tutti l'autri, chi minchia sono?"
Alzo la voce per incutere rispetto ma nessuno che si faccia vivo.
Meglio, così posso parlare ancora un po' senza imbarazzo.
"E che è chesta storia che ci vuole l'invito per entrare? E sto Higuerra mò m'ha scassato la uàllera, tirasse fora sta facc'e fess.."
"Higuerra non c'è."
E' una voce di donna, e la cosa mi fa sobbalzare perchè lei non c'è, sono solo nella stanza. Lo spavento mi ha fatto perdere l'accento e sto ancora tremando quando mi accorgo di un gatto- o forse no, una gatta- immobile, a pochi passi da me.
Mi guarda con'aria così severa, addolorata, che mi fa quasi vergognare di quello che ho detto, di come mi sia ridotto a fare il buffone triste.
E' ovvio che la gatta la sa lunga.
"Higuerra?" le chiedo ancora, con un filo di voce.
"Non è qui."
"E' partito?"
"No."
"Quando torna?"
"Quando torna lei non sarà più qui."
"Lei?"
"Tu."
"Io?"
"Si, tu."
"Non capisco."
Allora la gatta sembra scuotere la testa e questo è un segnale della sua superiorità su di me.
" E Sgamas?"
"Non è qui."
"E Falena, tutti gli altri?"
"Non ci sono."
"Ci siamo solo tu e io. Qui dentro si entra soltanto uno per volta. Sono le regole."
"E tu? "
"Io ci sono sempre. Per ogni comunicazione puoi lasciare detto a me."
"Chi sei?"
"Io sono..." e per un istante sembra quasi dirmelo chi è; o forse me lo dice pure ma non ci faccio caso perchè con un gesto fulmineo, con una rapidità, un'eleganza, una determinazione e una sfrontatezza che si ritrovano raramente e soltanto nei gesti migliori degli umani, mi salta tra le gambe.
Il contatto, così improvviso, mi coglie impreparato e tremo tutto d'un brivido che credevo perso; e vengo, quasi con spavento, prima ancora di prender coscienza d'un desiderio qualsiasi.
Quando tutto finisce sono ancora sul divano. La gatta non c'è più. E non c'è più il mio bastone, i miei capelli non sono più bianchi nè lunghi, sono scomparse le rughe, la mia voce ha perso ogni teatralità.
Solo i miei denti sono irrimediabilmete marci che non potrò mai più sorridere senza vergogna.
Mi alzo e con la mia andatura di sempre raggiungo la porta, esco.

giovedì 19 ottobre 2006

Vi comunico che ho aggiunto alla lista dei link qui a destra (sotto la lista dei membri) il blog Maledetti vi amerò

E per i più pigri eccovelo qua: http://zerosettantadue.blogspot.com/

Attendo altresì con ansia che K decida di prendere parte alla follesca comunità di Café Absurd

Hasta luego

martedì 17 ottobre 2006


Busqueda

Per andare in un posto spesso c'è una strada dritta. Ma le città, se le guardi da sopra, sono reti di strade scavate in mezzo al cemento, e ai palazzi non è che ci si può passare attraverso. E allora non è che tutti i percorsi siano strade dritte, è difficile che si possa andare in diagonale. E succede che per un po' vai dritto, poi ad un certo punto devi girare. A me succede di girare troppo tardi. Una volta che hai girato tardi che fai? Mica torni indietro, no, vai dritto, è un fatto di coerenza. No, il fatto è che ti accorgi tardi che hai girato tardi. Poi, quando te ne accorgi, devi rigirare. Ma succede che ancora una volta, alla svolta seguente, giri troppo tardi, e così via, e allora pian piano una strada dritta o quasi può trasformarsi in una spirale. L'obiettivo è al centro della spirale e prima o poi forse ci arrivi, girando e rigirando sempre un po' troppo tardi, ma te ne accorgi sempre un po' meno tardi della volta prima, della svolta prima. E allora ti avvicini al centro. Forse.
Si sa, dalle spirali non sempre se ne esce vivi. Ma nel frattempo ti sei visto tutto un quartiere. Poi il caso vuole che arrivi a destinazione. Oppure no.
Il giorno dopo torni allo stesso posto. Torno allo stesso posto. O almeno ci voglio tornare, e succede che rifaccio l'errore di girare tardi, e alla fine mi perdo, mi perdo nello stesso modo del giorno prima, ripassando il percorso a spirale. E finisce che imparo le strade nel modo sbagliato, e che rinuncio alle strade dritte, per principio o per necessità, che poi è la stessa cosa.

mercoledì 11 ottobre 2006


Esperando Rodriguez...

La casa è ferma, il cielo è fermo, il vento è fermo, le auto sono ferme, la gente è ferma, con un piede sollevato verso il prossimo passo, per le vie del centro, Laietana, La Rambla, il porto, in perfetto equilibrio, ma più che una foto è un incanto, una cosa strana insomma. Mi dispiace per chi stava addentando un calamaro fresco a Barcelloneta, per chi stava pisciando, per chi stava andando a divertirsi, mi dispiace per chi stava venendo, per chi stava perdendo il treno, per chi stava per segnare il gol più bello della storia della parrocchia di San Pepito, per le donne-statua e gli uomini-foto della rambla, sempre fermi per scelta, mi dispiace per chi stava rubando una borsa a Raval, per chi stava skatando al Macba, per chi stava inviando una mail dal Pakistani Computer, per chi stava parlando al telefono col Papa, per chi stava nuotando nella piscina climatizzata qui, dietro casa mia, tutti fermi, tutti zitti. Giovedì è la festa di Spagna, o algo así. E arriva Rodriguez.

martedì 10 ottobre 2006


La casa 3.

Prima di tutto in una casa ci si entra, poi una volta che sei entrato vabbè, dipende.
Si entra attraverso cunicoli bui, scale rotte da cui si intravede una chiostrina di quelle che fanno paura. Entri e a destra ci hai le statue di tre supereroi, Batman, Superman e Gesù Cristo. La chiave, per entrare si gira al contrario, per uscire anche. Quindi ti pare sempre un po' di stare uscendo quando entri e viceversa.
La stanza ve l'ho detto, per trovarla ogni volta un casino. La finestra sta su un lato corto della stanza e dà sul patio. C'è luce e c'è silenzio. E gatti, che mi imboccano in camera, e uno in particolare, che è una gatta ed è nera, e pare che gli sto simpatico, pare.
Sotto la finestra c'è un letto a due piazze ma di lunghezza ci entro giusto. Si dorme bene.
Di fronte alla finestra, sull'altra parete, c'è un quadro, un santino, un santone, ora non mi ricordo bene se è un Budda o non so che, ma a colpo d'occhio pare anche Sant'Antonio. Su un lato lungo, di fronte alla porta, c'è una scrivania rivestita di una cosa morbida che rende piacevole la scrittura, quando si scrive su un foglio di carta.
Il salone principale, da cui si accede al patio, manco a dirlo, oh, è giallo. Giallo.
Nel patio si mangia bene, si stendono bene i panni. Se c'è il sole, dice Manu, si prende il sole.
Ma non cè n'è molto, in questa stagione.

domenica 8 ottobre 2006

Rettifica

I salotti sono tre. Uno che ci si pranza, ci si cena. Ma io non ci ho ancora mangiato. Un altro che ci sto adesso, scrivendo, scrivando. Dice, coso, Manu, mi fa, dice "Usa internet quanto minchia ti pare e piace, fai come ti pare in questa casa, porta ospiti, gente, amici, cose, fuma tre pacchetti di Lucky Strike al giorno, tie', te le do io, fatti otto docce al giorno, basta che non mi rompi i coglioni, io sto andando ad una disco gay. Se è, vieni con me?" Dico "No, guarda, stasera no, magari domani."
L'altro salone non mi viene voglia di entrarci da solo, che è un posto un po' assurdo, assardo, assordo. I pavimenti fanno su e giù come le dune e c'è una luce rossa e se smuovi una tenda ti ritrovi in un laboratorio chimico.
Le stanze, apri una porta e non è quella giusta, pensavi fosse il cesso e invece è un armadio, volevi prendere il sale nella dispensa e ti ritrovi in camera di Manu che dice fa "Allora forse non sono stato chiaro", ma questa storia di Manu non è vera, è per fare un esempio, esci in terrazza dal salotto dove si mangia, rientri da un altro punto, ti giri di scatto, passi per la cucina che è una stanza corridoio, dici, ora torno in camera mia, apri una porta e ti ritrovi al cesso.
Il terrazzo di notte si illumina tipo Natale, e siamo tutti più buoni. I gatti sono quattro e due sono neri, uno pare il mio gatto, Tina, però è un po' più grande, ma tutto in proporzione.
L'uomo invisibile è ancora invisibile, però dice che si chiama Stefan, cose così.
Incomincio a capire che è successo, ho fatto un po' di casino mettendo tutta quella roba nello zaino.

venerdì 6 ottobre 2006

Una stanza nel Born, come vivere in bocca al Colosseo, che ne so, Santa Maria dei Monti, oppure piazza Campo de' fiori, Santa Maria in Trastevere, che ne so. Sotto la cattedrale di Barcellona.
Pavimenti surrealisti, spazi enormi e metafisici, cose da romanzi, non credevo che esistevano case così. La stanza Yoga, due salotti, 3 gatti di cui almeno uno nerissimo. La terrazza, grande quanto la casa. Un guardaroba grande quanto la mia stanza.
È la mia prima stanza, la mia prima casa a Barcellona, non so per quanto tempo, almeno un mese.
I coinquilini sono un tipo tranquillo e un sudafricano invisibile. E tre gatti, di cui uno nerissimo.
A presto per tutto il resto.

mercoledì 4 ottobre 2006

Ciao.

Un saluto 2
Nei viaggi di higuerra troneggia la ciclicità, almeno per noi che restiamo in terra italica come spettatori. Al dispiacere che proviamo nel salutarlo ogni volta si accompagna la consapevolezza che presto ci rivedremo e sarà festa. Questa volta sono felice di poterlo salutare direttamente nel suo spazio, e sicuro che questo viaggio sarà, ancora una volta, un successo.
Bon voyage, ancora una volta, ancora di cuore.

Mi dice, Piòtr, mi fa, dice, “Ma insomma parti, te ne vai? Ma domani, proprio?”
Dico “Sì sì, anzi no, mica domani, me ne vado oggi”
“Hai fatto le valige?”
“No, le valige no, ho fatto uno zaino, ho riempito di vestiti uno zaino. Uno zaino abbastanza grande. Ho i cambi per una settimana, dieci giorni, poi conto di lavare le cose man mano. Sette otto mutande, sette otto magliette della salute, sette otto paia di calzini. Quattro jeans, due paia di pantaloni normali, una tuta, qualche felpa, maglioncini e altre cose. Una sciarpa, un berretto, cose così. I borselli con lo spazzolino, il dentifricio, le lenti a contatto, un bagnoschiuma e uno shampoo, il tagliaunghie. E altre cose. Medicine, medicinali, cose varie”
“Il biglietto ce l’hai?”
“No, il biglietto adesso funziona che vai all’aeroporto e gli dici un codice, e loro ti fanno ‘Tutto ok, buon viaggio’, niente biglietto, solo un codice, tipo sette, kappa, enne, mille, acca, ipsilon, quattro, una fresca, una frasca, e ti dicono, dice ‘Ok, va, buon viaggio’ e chi s’è visto s’è visto”
“Ah. Vabbè”

E insomma io sono quasi pronto, e Piòtr sta col labbro di sotto cacciato in fuori e gli occhi a palla, e guarda lì, da qualche parte, ma da quella parte non c’è niente da guardare, sì, vabbè c’è un letto, una scrivania, cose così, cose che non c’è niente da guardare. Poi mi fa, dice:
“Ma…”
“Che?” gli faccio io
Dice “Ma le scarpe? Eh? Le scarpe non te le porti?”
“Eh, le scarpe, certo che me le porto, un paio me le metto ai piedi, altre paia in valigia, nello zaino, due, tre paia in tutto, quattro paia, così”
“Ah. Beh, sì, infatti. E… e col computer? Come fai col computer?”
“Mi porto pure il computer, mi porto uno zaino grande, uno zaino piccolo con dentro varie cose, e la valigetta col computer”
“E le casse? Per ascoltare la musica, le casse te le porti?”
“Sì sì, che vuoi che non c’è un posto nello zaino piccolo per le casse, le infilo da qualche parte, nello zaino piccolo”

Sono pronto, quasi pronto, Piòtr ruota la testa in giro, la gira di qua dove c’è un letto, una scrivania, la gira di là dove c’è una libreria, carica di libri.
“E quei libri?” dice Piòtr, prendendone in mano uno, “I libri te li devi portare, no?”
Gli faccio “Certo, nello zaino piccolo metto anche i libri, tutti i libri che vedi lì su, anche quello che hai in mano”
“Ma non fai prima a portare tutta la libreria?” dice lui, facendo un ampio gesto col braccio.
“Ma infatti hai ragione, me la porto, tutta la libreria con i libri, la smonto, pezzo pezzo, la faccio entrare nello zaino grande, dai, aiutami a smontare”

E iniziamo a smontare la libreria. E pezzo pezzo la infiliamo nello zaino grande. E poi mettiamo anche lo zaino piccolo nello zaino grande. E anche la borsa del computer.
“E poi, nel posto dove vai, se devi leggere come fai?”
Dico “In che senso, come faccio? Come faccio a fare che?”
“Eh,” dice “se devi leggere ci avrai bisogno di una scrivania, oppure di un letto, almeno”
“Ma infatti,” faccio “ma infatti la scrivania me la porto, per leggere, studiare, per metterci sopra il computer, le casse. E il letto pure, sennò come faccio, mica solo per leggere, per leggere basta una scrivania, più che altro per dormire, mi serve il letto. Metto tutto nello zaino grande, lo zaino è grande abbastanza. La scrivania, il letto, il termosifone, la chitarra,” dico io, e intanto infilo tutto nello zaino.
E poi attacca Piòtr “La sedia per sedersi, la tv per guardare la tv, la radio” e infila tutte queste cose nello zaino grande, “l’armadio, che fai, lasci l’armadio? E poi dove le metti le cose, i vestiti?”
“L’armadio, la scarpiera, i lampadari, la tazza del cesso, la cucina, il soffitto,” gli faccio io, e anche io infilo tutto nello zaino, l’armadio, la scarpiera, eccetera.
“I muri, le stanze, ti porti tutta la casa, insomma,” e la infila nello zaino.
“Sì sì, infilo tutto nello zaino grande, casa mia, casa dei vicini, Nicola, Franco, Scalia, Arduino, Maria, Gianni, tutti nello zaino”
“Il fornaio, l’ufficio postale, la signora Ferrauto, il figlio di Anna, coso, Michele, e poi il Bisca, Falena, e il camion della mondezza” e ficcava.
“Il distributore di benzina, la macchina, le Cannù, la Cannù, Nicolò, Nicolà, Pasquale, il luna park, la piazza del mercato con tutte le bancarelle, lo zerocinque barrato, l’aeroplano” e infilavo.
“Tutto nello zaino grande, il municipio, l’aeroporto, la pineta, la spiaggia…” e mettiamo tutto nello zaino, tutto.
“Tutto, il mare, il Paese…”
“Gli oceani, le isole, i continenti”
“Il mondo, la luna, il sistema solare”
“Il sole, le galassie, il giorno, la notte, l’amore”
E a un certo punto ci siamo solo io e lui, e basta, in mezzo ad uno sfondo nero.
“E l’universo?” chiede lui, e allarga le braccia come uno che sbadiglia, e poi chiude i pugni come volesse stringere qualcosa, e tira via tutto quel nero come fosse una tenda, un grande telo nero, leggero leggero, e se lo mette addosso a mo’ di mantello.
“Tutto nello zaino grande,” gli faccio, “anche quel mantello, dai, non perdiamo tempo”
“Tutto.”
E ci siamo io e lui e lo zaino grande e basta.
“Allora buon viaggio,” mi fa Piòtr, e si infila pure lui nello zaino.
E resto io solo, con lo zaino, e niente altro, e me lo metto sulle spalle. E parto, vado.

martedì 3 ottobre 2006


UN SALUTO


Buon viaggio, Higuerra!




Scrivi, mi raccomando!
E non ti scordare il cestino del pranzo!

(tratto da Alla Ricerca Dell'Higuerra Perduto, AA.VV., romanzo di formazione a puntate dell'almanacco a cadenza variabile Cafè Absurd, spedito in abbonamento retribuito ai lettori di O La Nave O Un Altro Animale, prodotto dalla casa editrice Maestri Del Delirio & Co.; immagine tratta da un album di famiglia di un membro rimasto volutamente anonimo della Maestri Del Delirio & Co., raffigurante Co. ai bei tempi)

lunedì 2 ottobre 2006


¿como podría no quererte?

E UGUALE EMMECI ALLA SECONDA

Inchiniamoci ai punti di vista. Croce e delizia di tutti; una delle cose belle della vita; tra le giustificazioni più abusate e sfortunatamente più valide; stimolo di ogni pensiero e ogni turba mentale; il cibo quotidiano dei sensi di colpa e della voce della coscienza; linfa vitale della bellezza e del gusto. Senza di essi addio contrasti, addio chiaroscuri, addio sorrisi, addio lacrime. Inchiniamoci ai punti di vista, senza i quali saremmo tutti uguali, tutti banali, tutti sicuramente indistintamente migliori.

Fuma' nella volante cor permesso

Passeggiavamo pe' via der Monte Oppio,
con alle spalle quer fantasmaColosseo.
Ragionavamo e ci vedevamo doppio,
fumando erba con savuàr fèr da Galateo.
Una volante, colle sirene spente,
che evidentemente invece aveva visto quer fumo denso o l'odore, almeno penso,
li aveva attratti. E noi esclamammo "Crishto!"
Altroché, poveri cristi erano loro,
indovinate che ce fanno in coro?
"Bella regà, c'avete na cartina?"
E noi di getto ci guardammo in faccia
e l'espressione tua fu pressappoco questa:
"Secondo te ce stanno a pijà per culo?"
L'agente pronto, che s'era reso conto,
pe' aggiustà tutto disse in tutta fretta:
"Ce sta Beretta, è questo qua de dietro,"
e na vocetta disse 'tutto a posto,'
"C'ha du' cannette e io c'ho le sigarette,
ce manca giustappunto na cartina,
non semo mica proprio tutti infami."
E io che so' più bono c'ho creduto,
ho preso tre cartine e gliel'ho date.
E hai visto che poi invece ho fatto bene?
Ma di' la verità, nun hai goduto?
Fuma' nella volante col permesso,
e sì, perché ce fanno "Dai, salite,
guardate che fra un po' comincia a piove."
A me me vie' da ride ancora adesso,
fuma' nella volante col permesso.
"Sarà legale e non sappiamo niente?"
Ti dissi sottovoce nell'orecchio.
La faccia ti vedevo nello specchio,
diceva pressappoco "Tu sei scemo."
Il buco che j'ai fatto cor tizzone!
E poi lo dici a me che sono scemo,
che so' sicuro che l'hai fatto apposta,
fortuna che non t'hanno visto.
Nun te sto a di' che nun hai fatto bene,
però nun te sei popo regolata.
E l'acqua che era cominciata
e quer passaggio lo accettamo a forza,
"Per la stazione prego conducente,
sennò perdiamo il treno delle nove"
"Ma quale treno e per andare dove?"
Tu me dicesti piano nell'orecchio,
io ti sorrisi e dissi "Fuori piove."