venerdì 20 ottobre 2006

Per prima cosa entro che mi son scordato di strofinare i piedi sullo zerbino all'ingresso. Così lascio impronte di scarpe sul pavimento, ché in questi giorni ha piovuto parecchio e ho le suole bagnate.
Mi levo la giacca sgocciolante e ma la appoggio a fianco mentre prendo subito posizione sul primo divano. Poi, compiaciuto, mi liscio i baffi con ostentata noncuranza.
Baffi? Quali baffi? Si, insomma, i baffi non ce li ho ma faccio comunque il gesto.
Sorrido. Se non fosse per questi miei denti nessuno direbbe che sono ancora giovane.
Toh, ho anche il bastone. Mi da un'aria così demodé.
E l'andatura curva? E i miei capelli bianchi insolitamente lunghi?
Oh, e il mio tono di voce? Il mio capolavoro! Una voce così' grave, roca che non so nemmeno io da dove mi è uscita fuori. Mi fa venire voglia di parlare, di dire tutto quello che mi passa per la testa, ora!
Così apro subito bocca: " Che io possa mangiare frittura di rane per il resto dei miei giorni! Esigo spiegazioni! Che d'è sto nome all'ingresso CAFE ABSURD? E chi è stu curnutu di Higuerra, e chill'autro fetente di Sgamas, e chillu quaraqquaqquà di Falena? E stu premio Oscar de Scalia? Lecannù e madama e tutti l'autri, chi minchia sono?"
Alzo la voce per incutere rispetto ma nessuno che si faccia vivo.
Meglio, così posso parlare ancora un po' senza imbarazzo.
"E che è chesta storia che ci vuole l'invito per entrare? E sto Higuerra mò m'ha scassato la uàllera, tirasse fora sta facc'e fess.."
"Higuerra non c'è."
E' una voce di donna, e la cosa mi fa sobbalzare perchè lei non c'è, sono solo nella stanza. Lo spavento mi ha fatto perdere l'accento e sto ancora tremando quando mi accorgo di un gatto- o forse no, una gatta- immobile, a pochi passi da me.
Mi guarda con'aria così severa, addolorata, che mi fa quasi vergognare di quello che ho detto, di come mi sia ridotto a fare il buffone triste.
E' ovvio che la gatta la sa lunga.
"Higuerra?" le chiedo ancora, con un filo di voce.
"Non è qui."
"E' partito?"
"No."
"Quando torna?"
"Quando torna lei non sarà più qui."
"Lei?"
"Tu."
"Io?"
"Si, tu."
"Non capisco."
Allora la gatta sembra scuotere la testa e questo è un segnale della sua superiorità su di me.
" E Sgamas?"
"Non è qui."
"E Falena, tutti gli altri?"
"Non ci sono."
"Ci siamo solo tu e io. Qui dentro si entra soltanto uno per volta. Sono le regole."
"E tu? "
"Io ci sono sempre. Per ogni comunicazione puoi lasciare detto a me."
"Chi sei?"
"Io sono..." e per un istante sembra quasi dirmelo chi è; o forse me lo dice pure ma non ci faccio caso perchè con un gesto fulmineo, con una rapidità, un'eleganza, una determinazione e una sfrontatezza che si ritrovano raramente e soltanto nei gesti migliori degli umani, mi salta tra le gambe.
Il contatto, così improvviso, mi coglie impreparato e tremo tutto d'un brivido che credevo perso; e vengo, quasi con spavento, prima ancora di prender coscienza d'un desiderio qualsiasi.
Quando tutto finisce sono ancora sul divano. La gatta non c'è più. E non c'è più il mio bastone, i miei capelli non sono più bianchi nè lunghi, sono scomparse le rughe, la mia voce ha perso ogni teatralità.
Solo i miei denti sono irrimediabilmete marci che non potrò mai più sorridere senza vergogna.
Mi alzo e con la mia andatura di sempre raggiungo la porta, esco.

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