
martedì 30 settembre 2008

lunedì 29 settembre 2008

domenica 28 settembre 2008
sabato 27 settembre 2008

Il vagare mio per biblioteche somiglia a stare in un film dei peggiori. Non c’è alcuna ricerca.
Un film dei peggiori, dicevo, di quelli che non si muovono, di quelli senza tatto, con la bella donna piantata a guardare un orizzonte che è un punto qualsiasi del fuoricampo e del set, perché il niente l’attrice bella non lo sa guardare mai, o lo sa abbastanza di rado; un film di quelli accecati e sordi di sordidi doppiaggi (doppia G), delay di lei, la bella, che fatica a star dietro alla voce della donna, invero brutta presumibilmente, che le sta dietro, o sta dietro la scena, chissà se nello spazio o nel tempo. Ma in ogni modo le due donne, l’attrice e la doppiatrice, stanno l’una dietro l’altra e l’altra dietro l’una. E il fastidio del doppiaggio è forse nel fatto che è la voce a star davanti alla scena, ed è la voce quello che ci interessa di più; il fastidio è che l’immagine, il labiale, non sa guarire le ferite della voce. Il labiale non si muove, è staccato dalla voce per definizione, perché la voce non è sulle labbra ma più in fondo, dove la macchina non può guardare. E anche se la macchina potesse, cosa mai potrebbe restituirci?
Lacan sostiene che il cinema è arte del sonoro, e così dice Chion. Il secondo lo fa per dare importanza ad un aspetto inspiegabilmente trascurato di quest’arte, stabilendo per compensazione un equilibrio tra due componenti inscindibili, almeno nel linguaggio cinematografico alla sua fase matura, che sembrerebbe essersi avviata da tempo; ma, su quest’ultima cosa, spero di sbagliarmi. Il primo invece sostiene che l’immagine, in sostanza, serve a solleticare il perineo degli spettatori impotenti.
Lacan, forse consapevolmente, suggerisce dunque che assistere ad un film sia un un’attività, e non una passività. Mi sto fissando su questa cosa, che leggere sia creare, scrivere sia riscrivere e riscrivere sia demolire. Sarà Carmelo Bene a spingermi verso posizioni simili: ci si mimetizza sempre col soggetto della propria tesi di laurea. Si è sempre un po’ soggetti alla propria tesi di laurea.
Ed ecco perché il vagare mio per biblioteche somiglia a stare in un film dei peggiori.

anche ieri ho scritto ma non potevo pubblicare per assenza di rete.
cose che capitano; o forse è soltanto un'ottima scusa per disonerare l'onere che mi sono imposto.
non ha importanza, per due motivi: primo, in giornata porrò rimedio al misfatto. secondo, la scrittura è sempre finzione, è sempre velata, quale che sia il tema trattato. quindi posso mentire, posso dire di aver scritto un libro intero. e sarebbe sempre vero e sempre falso; anche se lo pubblicassi: chi dice che l'ho scritto io? e se si fosse scritto da solo? se avessi usato un software che compone testi sensati a partire da un alfabeto dato? questa è cabala. ma tutto è cabala oggi, che noia!
e poi anche l'informazione -soprattutto l'informazione, direbbe più di qualcuno- è finzione. la mimesi per definizione è imitazione; per estensione è simulazione. stavolta non assurgo a "scienza" le mie associazioni (etimo)logiche, ma insomma spero sia chiaro quello che intendo: che ogni cosa scritta è critica, è arresto e studio di funzioni e modi della realtà che non sono suscettibili di replicabilità alcuna. tutto sta nel "vizio", connaturato all'umano, di simbolizzare, di staccare ogni cosa dalla sua immagine; come se fosse possibile!
in fin dei conti la credenza nel nuomeno è questione di fede; se non erano del tutto sprovveduti, anche i pensatori che hanno ammesso nei loro sistemi la "cosa in sé" sapevano di non poter sostanzialmente dimostrarne l'esistenza.
non si tratta di oggettività o soggettività: queste due cose stanno già al di qua della cosa in sé, stanno nell'uomo. e del resto, se l'uomo è la sua bocca, la sua lingua, non si deve trascurare che "soggetto" significa il contrario di quel che sembra: non chi agisce, dunque, ma chi è agito, chi soggiace.
si tratta invece di capire che le cose non esistono e non possiamo possederle neanche col pensiero. ciò che abbiamo è l'esperienza, punto.
chi crede in dio non sarà d'accordo con Me, ma anche io credo in Dio. la fede è soprattutto accettare una profonda contraddizione.
ma oggi non volevo proprio parlare di questo.
volevo dire quant'è singolare il destino anagrafico dei nati nell'anno del Signore millenovecentottanta. 1980. l'anno in cui io sono nato.
la particolarità dei nati in quell'anno è che la somma delle prime due cifre che compongono l'anno cristiano con le seconde due dà sempre come risultato la loro età. posto che la regola non vale per il 1980 (solo gli sprovveduti credono ancora che possa esistere un "anno zero") vediamo bene che:
1981 ... 19+81=100 ... 1+0+0=1 anno
1987 ... 19+87=106 ... 10+6=16 ... 1+6=7 anni (ma anche 1+0+6=7)
1994 ... 19+94=113 ... 11+3=14 anni (sto)
2001 ... 20+01=21 anni
2030 ... 20+30=50 anni
2099 ... 20+99=119 anni
il problema del 2100 non me lo pongo, perché se arriverò a 120 anni vorrà dire che avrò smesso di occuparmi di cazzate e iniziato a prendermi cura di me.
per il resto lo so, sembra ci sia una piccola forzatura in tutto ciò; ma se si sta al gioco funziona.
invece non funzionerà mai, ad esempio, per i nati nel 1981:
1982 ... 19+82=101 ... 1+0+1=2 anni ... sbagliato!!!
oppure per i nati nel 1979:
1980 ... 19+80=99 ... 9+9=18 ... 1+8=9 ... uhm, no.
dico male?
giovedì 25 settembre 2008

ringraziando iddio blasfeta, qualcosa nella vita pure si impara. ci sono piccole zavorre superflue, tipo i proverbiali sassolini nella scarpa. se hai l'accortezza di fermarti e sbarazzartene, camminerai più svelto.
mercoledì 24 settembre 2008

martedì 23 settembre 2008

tutti i giorni.
lunedì 22 settembre 2008


si ricomincia mezzo a lavorare.
martedì 16 settembre 2008
lunedì 15 settembre 2008

Ma poi mi siedo, e decido che basta, non si pensa più. Il trucco è quello, la testa da sola non si ferma mai, lo decidi tu. Basta saperlo. Basta.
martedì 9 settembre 2008

la mai stato un viaggiatore atto una ce, di zucchero nel caffè. in quest'ultimo caso quel che resta di mille cristalli è un 456sapore diffuso. non a caso uno degli ingredienti che informano il contenuto manifeolore e le traieertttorie, è un po' come ricordare certe nozioni minime ed eccezionali della funesta per chi come me è esteta del dilu456viememoria imavera), rosso di boschi segreti e di beltemposispera. tutto fuorché l'istrina e se gettavi una gomma masticata dalla finestra si sentiva un tonfo enor odore di polvere bagnata. in una giornata torrida da fare schifo, quvento di pioggia. 42 gradi all'ombra, e odore di pioggia.
atleta del diluvio!
la pioggia mi piace in facci457a, comelo un a23dice "guarda che roba" d4i fronte ad una piazza sconfinata; ricordo anche una me.dopo quella, sono tornato a parigi altre sei volte. la penultima "visita" è durata nove mesi
Immagina ...
un'immagine senza limiti, una cornice ad essa sovrapposta, un piccolo osservatore ... così piccolo da non poter averne una visione d'insieme. Lo chiameremo diEGO.
diEGO, incuriosito, percorre in lungo e largo la cornice. Ne resta affascinato, se ne innamora.
diEGO, ancora più curioso, scende dalla cornice e si tuffa nell'immagine. Fino all'orizzonte tutto gli è noto.
diEGO, ingordo di esperienza - ma pieno di sè - corre verso l'orizzonte alla ricerca della fine. Ciò che trova è di nuovo la cornice. Torna a seguirla e si ritrova al punto di partenza.
diEGO riparte nell'immagine e la sua memoria riaffiora ad ogni passo, così decide di cambiare direzione per stupirsi ancora, ed ancora, ed ancora ...
diEGO è stanco e si ferma a riposare sull'immagine. Ciò che ha sotto i piedi è nuovo ai suoi occhi. ma la mente gli offre un dubbio interessante: "Come posso, io, percepire il nuovo se non perchè lo conosco già?". Percepire è ri-conoscere.
diEGO usa la memoria per mappare l'immagine, ma il tempo impiegato nel suo cammino allontana le immagini parziali in un abisso chiamato sogno. L'insieme delle sue notti gli rigurgiterà l'esperienza.
diEGO, al termine del suo errare, avrà illuminato ogni angolo della sua mappa, avrà collocato ogni frammento dell'immagine, avrà goduto di ogni passo e voltandosi indietro apprezzerà l'arabesco del suo sentiero.
diEGO capirà di non essere importante e, congedatosi dall'amata cornice, si getterà dall'altro lato per esplorare ciò che della sua avventura non ha limiti.
diEGO non è più diEGO.
Il tempo non scalfisce l'immagine, ne ritma solo l'esperienza.
Se diEGO l'avesse sorvolata da un'adeguata distanza avrebbe visto l'inizio e la fine nello stesso medesimo istante.
Se il cerchio saltasse fuori dal foglio capirebbe di essere una sfera ...
O<-<
riferimenti:
http://www.patrickrizzi.com/percezionedimensioni.htm
http://www.fainotizia.it/2008/07/05/la-quarta-dimensione-lanima
http://it.wikipedia.org/wiki/Flatlandia
http://www.geom.uiuc.edu/~banchoff/Flatland/
venerdì 5 settembre 2008

Nietzsche che dietzsche, boh.