mercoledì 9 aprile 2008

sta per concludersi la mia ultima notte in albergo.
non sono le 3 come indicato in fondo al post, sono le 6.30 circa.
ho provato a dormire, prima, ma non ero convinto, il tentativo non è andato a buon fine. la branda è scomoda, non avevo sonno, mi vengono le smanie alle gambe, preferisco aspettare il letto vero.
sono sei mesi che lavoro qui. sei mesi meno una settimana. venerdì il contratto scade, vado a casa. ma non è una triste vicenda di precariato, è una scelta precisa. potevo lavorare sino ad ottobre, e invece no, c'è la tesi. sono uno studente mongolfiero. viaggio senza meta a bordo di quel pallone aerostatico che è l'università. il tempo che passa è l'alta quota, e mi dà le vertigini, mi viene la nausea; la tesi è una zavorra, una sacca che io stesso devo riempire di vomito perché il pallone non voli troppo in alto.

ieri mattina nel darmi i cambio R. mi confessava il dispiacere per la mia dipartita e le mille perplessità verso colui che dovrà sostutuirmi, A.; un personaggio discutibile, un po' penoso, costui; le prime volte ci veniva la madre a battere il lavoro per il figlio. con una faccia da tre marie. mi diceva: siete tutti raccomandati. e la cosa un po' mi offendeva. suo figlio è un coglione e lei mi fa pena, volevo rispondere.
perché almeno nei pensieri essere scorretti è lecito, e chi non lo è scagli la prima piuma.

va bene, io ho fatto lavori del cazzo, sino ad ora, in vita mia. se escludiamo quelle volte, oramai non rare, in cui sono stato pagato per suonare. escludiamole.
barista e cameriere, commesso e magazziniere, portiere e portiere. lavori non qualificati in tutti i casi. quella da concierge è stata l'esperienza meno degradante. ma insomma, sento di poter dire che se hai bisogno di lavorare il lavoro lo trovi, e non devi scassare i coglioni. non me ne voglia V. se utilizzo paroloni.
la parolaccia è l'anima de li mortacci del discorso.

ora mi aspettano due succulenti giorni di riposo. venerdì l'ultimo turno, di mattina.
non mi laverò neanche la faccia.

oggettivamente qualcosa cambia. ho un po' meno voglia di scrivere e un po' più voglia di respirare la terra e il sole.

martedì 8 aprile 2008

la notte da lupi volge al celeste cupo. il mattino colora di sé ogni cosa, come si fosse sott'acqua. ho voglia di fendere il vento a colpi di bavero.
mi accorgo poi che la pasta del film d'avventura mal si addice ad una primavera anagraficamente inoltrata. tanto meglio sarebbe potersene stare su una spiaggia qualunque, ma pulita almeno.
d'altronde niente più che una notte ed un mattino mi separano da nuovi argomenti.
nell'intanto ti penso con tutte le forze, e sei una seconda, più comoda, pelle.

martedì 1 aprile 2008

l'oracolo ha detto che devi partire. eccoti la livrea. partirai domattina. sei uno schiavo libero.. cioè, volevo dire, sei libero, non sei più uno schiavo. eccoti la livrea. come dici? cos'è la livrea? non lo so, m'hanno detto di dirti così. infilati sto paro di braghe. che ne so io, io non faccio mica.. eh, mica, capito?, che ne so io.

ah! meno male che c'è l'oracolo, eh? uno dice: ho un problema, sono in ansia, vorrei tanto sapere come va a finire una certa cosa. che faccio? come faccio? eh?

come fai? prendi appuntamento con l'oracolo e il gioco è fatto. vai lì, ti presenti, tal dei tali, esponi la tua situazione, bla bla, eccetera. e lì c'è Pizia, professione tossicomane, che ti risolve tutto. vai tranquillo.

però, dici tu, però la Pizia il problema è che non ci si capisce un cazzo, quando parla. parla, dice cose, non si capisce. dice cose sconnesse, è drogata, boh? urla, si butta per terra, dice cose, boh?

ma non è che non si capisce. ti ci devi un po' arrabattare, vedrai che se stai più attento vai tranquillo, si capisce tutto, quasi ogni parola, minimo minimo cinquanta per cento. tu scrivi mentre quella parla, la Pizia, ti prendi un appunto, poi dopo vediamo un po', ci rileggiamo quello che hai scritto e vedrai che ci capiamo qualcosa.

d'altronde la Pizia è l'unica che ti può un attimino svelare il tuo futuro, il tuo domani, l'avvenire, capito insomma?
che sennò tu galleggi nei sogni, non lo sai neanche tu, incominci a dire, ah, ma siamo tutti schiavi dell'incertezza, tutti miseri mortali, che ne so, bah, boh.. non lo so.
i sogni no, quelli non ti spiegano niente, sono come film muti, non si capisce mai cosa sta succedendo, nei sogni. come nei film muti, non si capisce che succede.

vai dalla Pizia, quanto vuoi che ti chiede, cinquanta? sessanta?
ma vale la pena, è una cosa importante sapere il futuro, è utile. come quando m'hanno detto che tale schiavo sarebbe fuggito, e allora io l'ho liberato. che sennò lo schiavo, che ne sai, magari scappando da solo faceva fuori una guardia, si portava dietro un cavallo, che ne so. invece così, tac, eccoti la livrea, sei uno schiavo libero, pardon, sei libero, non sei più uno schiavo. vai.

come dici? ah, lo schiavo che ho liberato è tornato la sera stessa? e poi?
ah, poi è scappato, l'indomani mattina? ah, e scappando ha fatto fuori una guardia e s'è portato dietro un cavallo?
ah.