giovedì 11 dicembre 2008



Parmaij jubìptohen tdistcerebeltarmuf dahmnahl te'tzschin um isjinz'ò gàbpoux 'zcaripaule uwrìt.
Né en cuwte kghi aleyumuf, Ijo spyruoch, gwant daumoinash caudohen Ijo.

("Dovrò accettare il fatto di essere uno scrittore senz'a capo. Goda, chi mi legge, del fatto che a me piace così." Filaumuhn Matzha, Keshennaraunm besaksariaijs, Adatsunjeh Fpoleiruubhe, Kgubuij-Mailatzsch 1997, pp. 134-135)

Ho scoperto questo scrittore melascese, Philemon Matta (traslitterazione fonetica di Filaumuhn Matzha) e devo dire che mi incuriosisce. Per anni mi sono occupato di lettere usate, senza sapere che c'è chi lo fa da molto prima di me. Non so dire se gli esiti raggiuti da Matzha siano superiori ai miei, giudicate voi.

"ma ecco che nel dirlo un lapillo di confettura d'albicocca mi trapassa la coscia nuda, traendomi d'istante dall'impaccio di una trans-linguistica a metà tra speculativo e testa da vetrina di barbiere. odio, del microonde, questo: che il compatto resta tiepido e il fluido diventa incandescente. un morso nel tepore falso della pasta d'intorno, ed ecco fioccare quel brillocco di fruttapassa, giù sino alla prima pelle che gli si parannanza. pazienza.
l'onnivoria convulsa non mi scampa quasi mai -terminato il pranzo- dal ripassare entro quel breve palcoscenico il cornetto ripieno di ieri, sovrappiù del locale per colazioni che detengono i miei familiari. a tutta prima avrei preferito, è ovvio, un cornetto ripieno di domani.
ma ci penso e penso che il domani, a vederlo oggi, ad assaggiarlo oggi, sarebbe per forza posmarcio, fatisc(i)ente (ovvero sciente il fato), antecrepito, sublime. mica acerbo, no: l'acerbo è nel presente presente. è il domani portato a oggi che invece, ahimé, marcescisce. come il latte dimenticato fuori dal frigo.
cioè, mi spiego: immagino che se, oggi, fossimo possibilitati a vedere il domani, l'orrore ci arrecherebbe molto danno. come (e un po' diversamente da come) accade in Sogno, che è il solo posto dove siamo in grado di vederci, vedere noi stessi, altro che Specchio. ma il Sogno è un luogo protetto, una stanza dalle mura soffuse.
in Ispecchio c'è un problema tattico, che è la prospettiva binoculare, è cioè il fatto che non può, lo sguardo, vedersi. Nel sogno, dicevo ieri alla mia shrink, ho visto, da bambino, confondermi con altri, altri che di solito erano familiari, parenti stretti, madri, diciamo, madri di sesso femminile: mia madre, per intenderci.
mi si perdoni il tono centrifugo, ma ci sono casi -non rari per quanto mi riguarda- in cui vuoi dire a tutti i costi qualcosa, anche se non sai qual cosa.
e quindi, se tanto mi dà tanto, lo specchio è una finestra sul domani odierno, del cui per sorte non possiamo vedere niente se non il contorno dello sguardo. ché, io dico, se vedessimo il nostro sguardo, ecco che all'improvviso saremmo, non dico morti, ma feriti per sempre.
almeno sino a che un lapillo di marmellata di arance non ci trapassi, che so, l'alluce destro."

2 commenti:

Unknown ha detto...

Fantasticamente absurd. Una delle ragioni per cui non invidio l'attore del cinematografo è proprio questa: la morte causata dall'osservare il proprio sguardo.
Immagina se, potendo, il cinema fosse in diretta ...
La TV è fuori discussione, è solo mosaico di pixels. Assolutamente iporealista.

Bak

Domhir Muñuti ha detto...

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