martedì 16 settembre 2008

La matita e il perpetuo divenire

ma quel che importa è scrivere di più, molto di più. perché scrivere poi? perché allora non parlare, se la scrittura "muore" l'orale? non uccide, muore. ecco perché scrivere, allora, vedi? perché, a parlarne, questo morire non potrebbe essere transitivo; o, se lo fosse, lo sarebbe molto meno. la carta piega (qui invece aboliamo il riflessivo) e spiega. non è straordinario un "morire" transitivo? un piegare di carta irriflessiva? moriamo il tempo prima che ci muoia. è la parentesi che manca all'orale.
eppure, dicevo, sento dire che lo scritto uccide (va bene?) l'orale. è il morto orale. l'orale morto come in verbavolantscriptamanent, ovverosia le parole viaggiano, le cose scritte lì stanno e lì restano, o no? il proverbio va interpretato così, dice Borges: esattamente al contrario di come lo si interpreta comunemente. io non sono d'accordo: il proverbio è bello perché puoi interpretarlo nei due modi; e nel terzo modo che è i due modi insieme; e in tutti i modi che pensando un modo non ne escludono un altro.
io non accorderei all'orale alcun privilegio perché ho poche occasioni di fare un degno uso del mio apparato fonico-linguistico. mi piace scrivere per tanti motivi, non ultimo il fatto di poggiare le dita sulla tastiera o sentire la penna che scivola sul foglio. meglio la matita.
anche perché la matita si cancella (forma riflessiva o impersonale?), la matita dimentica, omette, inventa, ricrea. la matita è mat ta. scivola anche lei sul foglio, e a volte finisce che cade e si rompe l'anima. gli scoppia dentro la mina, ed ecco che la temperi e lei non si tempera. le fai la punta e la punta viene via, una volta, due volte, tre volte.
spesso le matite finiscono, arrivano alla fine. diventano tanto corte da non riuscire a tenerle in mano. qualcuno deve dirmi, allora, che fine fanno le matite, a quel punto lì. scompaiono, smaterializzano, polverizzano (propongo alla Crusca questo: di abolire il riflessivo)?
quale che sia la fine delle mat te, il loro scritto è uno scritto che non vola e non rimane, è uno scritto che si pone nel mezzo tra le due vie, e ne apre invece una quarta al senso del proverbio: come dire "lapidis scripta volant vel manent".
ma i due sensi esistono nello stesso tempo, e i due tempi nello stesso senso.
eppure quel "lapidis scripta", che licenziosamente ho abusato (abuso il transitivo anche qui oltre che 33 caratteri fa), fa pensare assai più all'epitaffio, che non allo scritto di pugno e matita. e anche in questo caso lo scherzo funziona: l'epitaffio non vola né resta. non vola perché grosso modo sono in pochi a leggerlo; non resta perché spesso rivolge (forma attiva) al passato.
di repente mi ricordo un pomeriggio con Vincenzo a Père Lachaise; devo aver visto la tomba di Jim Morrison. ma per come sono fatto io, lungi dal pregare per quel coglione, avrò preferito additare ghignando il tipo che stava seduto lì accanto, quasi certamente con un libro in mano.
ma ha ragione: l'orale ha davvero la precedenza sullo scritto soltanto quanto è letto; ché tanto niente è scritto né detto per la prima volta.

9 commenti:

Domhir Muñuti ha detto...

in ogni scritto che si rispetti c'è una falla, un qualcosa di poco chiaro, un passo scuro. i pugni più arditi scrivono cose poco chiare per spingere il lettore a rileggere e rileggere una frase. e lì le cose sono due: ci si appassiona all'incomprensibile o lo si capisce a modo proprio. perché il passo scuro, se è fatto bene, non ammette mai soluzioni univoche. quelle le trovi sul sussidiario di terza elementare.

Prisma ha detto...

Non avevo mai pensato alla matita in questi termini...
Ora che ci penso, i miei pensieri più profondi - inconsapevolmente - non li ho mai scritti a matita.

in ogni scritto che si rispetti c'è una falla, un qualcosa di poco chiaro, un passo scuro. i pugni più arditi scrivono cose poco chiare per spingere il lettore a rileggere e rileggere una frase. e lì le cose sono due: ci si appassiona all'incomprensibile o lo si capisce a modo proprio. perché il passo scuro, se è fatto bene, non ammette mai soluzioni univoche. quelle le trovi sul sussidiario di terza elementare.

Sarebbe bello riuscirci... E ricevere un commento del genere.

arduino kakor ha detto...

infatti mi tocca commentarmi da solo :) grazie museum

Rotellina ha detto...

Io quando le mie matite arrivavano ad essere tanto piccole da non tenerle in mano, mi sentivo proprio soddisfatta!E mi dispiaceva pure buttarle, quelle rimanevano lì, molto più di quelle lunghe...che poi te le perdevi sempre,o ti si staccava la gomma da sopra!!
Adoro scrivere a matita...ma aimè sono così anziana che le cose scritte iniziano a sbiadire :-S
Verba volant, scripta pure!!!!!!!! Interpretala come te pare :-P

Domhir Muñuti ha detto...

ho postato un commento a nome di arduino kakor.. errorrrrrrrrrrrrrr

Domhir Muñuti ha detto...

io le matite le "mozzicavo" tutte! ma era proprio una cosa sistematica, mica un vizietto da quattro soldi.
a settembre mi torna sempre in mente la potenza dei primi giorni di scuola. uno pensa che la scuola non debba finire mai.. e poi finisce ma ti resta attaccata addosso. giuro, mi sembra, domani, di dovermi alzare e andarci. non dico tanto: dal quinto superiore sarei disposto a ricominciare.

Domhir Muñuti ha detto...

cmq hobu ghergai sono IO, per chi non l'avesse capito.
higuerra

Unknown ha detto...

Le matite lasciano piccolissime palline di grafite negli interstizi delle fibre di cellulosa ...
Ma io mi chiedo (a parte la voglia di sapere che fine fanno i mozziconi, visto che non ricordi di averne mai buttato una) come le fabbricano?
Come fa il demiurgo Frankenstein ad inserirvi l'anima nel legno?
E le mat te sono di le no e graf te?

Boh
Bak

Unknown ha detto...

Ps. Peccato che ad Arduino sia tornata la vista e non dipinga più ne scatti più foto.
Ehhhh Se fossi Marco ...