martedì 27 novembre 2007

quando ti viene in mente una cosa da fare, devi farla subito. questo pensavo 7 ore e mezza fa, all'inizio del mio not-turno. stavo per scrivere un post, poi mille cose mi hanno distratto, o impegnato. la notte è scivolata via, tra poco vado a dormire anch'io. e per di più ho intascato €6,10 di mancia da una coppia di americani pignoli ma evidentemente soddisfatti della mia - rarissima, loro non sanno - disponibilità. ho - tra le altre cose - preparato e servito loro la colazione, ché dovevano prepararsi a partire, loro, prima che partisse il servizio in sala colazione.

quando ti viene in mente una cosa da fare, devi farla subito: questo pensavo appena arrivato al lavoro; la mia testa si riaffacciava sul fotogramma raffigurante un libro - Q di Luther Blissett - su uno scaffale di casa. vedendo il libro sullo scaffale, ieri sera, ho pensato: non ho mai finito di leggerlo, stanotte lo porto con me al lavoro, avrò tempo di dargli una sfogliata. il libro è rimasto su quello scaffale, immobile come nel fotogramma. se avessi voluto portarlo con me dovevo assicurarlo alla mia borsa nell'istante medesimo in cui ho pensato di portarlo. tralasciamo il fatto che stasera, al lavoro, non ho portato neanche la borsa.

ripenso a tante cose rimaste immobili in mille fotogrammi per via di questa negligenza terrificante, questa cosa del rimandare le cose da fare.

giovedì 22 novembre 2007

sfogliare un dizionario etimologico, ancorché virtuale, è divertente.

scopri, per fare un esempio anche banale, che oriente e occidente stanno, in pratica, per originante (orior è "nasco") e uccidente (da obcido).

mercoledì 21 novembre 2007

a me piace la scorza di cinnamomo, quel che basta distante dalla lingua, ché non è buona creanza confondere un senso con l'altro. talora è nei biscotti, nelle candele, tal'altra sulle tue labbra e nel colore degli occhi. l'aroma è memoria, non appaga violentemente come invece fa il sapore delle cose.
non è la prima volta che penso a questa affinità: l'olfatto e la memoria, il ricordo e l'odore. bisognerebbe ri-portare in auge il naso, forse è lì che si nasconde una nuova sensibilità artistica. immaginiamo un museo fatto di stanze il più possibile ermetiche e separate da lunghi corridoi, stanze sinestetiche colme di un odore, uno alla volta, ma di tanti e tanti oggetti e colori diversi da guardare, così che allo stesso odore possa associarsi a propria scelta un oggetto o l'altro o l'altro ancora. come quando parlavo dell'agrume verde-azzurro. immaginate l'artista, certamente orientale, eremizzarsi chissà dove, purché lontano dalla città oppure proprio dentro di essa, a cercare l'odore che sa di conoscere ma che anche sa non esistere ancora; crearsi una camera, come dire, anecoica, laddove l'assenza di eco è assenza di memoria, ovvero di odore.

e tutto questo, invece, esiste già, mi ci gioco il vestito che indosso. tanto più che non vedo l'ora, scarsa, che finisca il mio secondo not-turno lavorativo. sicché il vestito è quasi tempo di sfilarselo, mentre la piupparte di voi lavoratori sta per cascare giù dal tiepido giaciglio, e rovinosamente.
esiste, dicevo, esiste nell'industria del naso, nella profumeria di lingua francese e no, un'arte del profumo; il tale disse che l'arte, anzi, non cessa mica di esistere quando è tecnicamente riproducibile. strano che non si sia estetizzata oltre il campione pubblicitario questa incredibile potenzialità che è nel profumo. il profumo è spesso indotto, rinviato ad altri sensi. c'è chi coltiva profumi in casa propria, e lì si passa all'estetizzazione della vita. ma non si è pensato, o non si è detto, di rinchiudere i profumi in un grande museo. anzi sì, lo si è pensato e fatto, mi ci gioco il vestito: il grande museo del profumo e della memoria, in cui la memoria finalmente cessa di essere la fotocopia drammatizzante di un passato tradito e inizia ad avere valore per sé, per quello che solo potenzialmente è, e che mai è stata e mai più sarà. la memoria astratta, come a dire l'odore perfetto. come a dire la nostalgia, che racconta menzogne, d'accordo, eppure talmente bene, le racconta, da farci emozionare e ri-vivere qualcosa che - forse - non abbiamo mai vissuto tanto intensamente. non abbiamo mai vissuto e basta. e così è l'odore, ci affascina tanto più del gusto quanto meno ci appaga. ci ricorda qualcosa, a volte molto chiaramente, ma non ci dà nulla.
inseguite gli odori ma soprattutto producetene di nuovi. anche in maniera estremamente scostumata.

giovedì 15 novembre 2007


frattanto la strada qui di fronte, la notte, è solida e praticamente immobile. fare la notte, al lavoro, non è nemmeno noioso. il sonno, ho sempre pensato, ti avvicina ai tuoi desideri; non necessariamente il sonno realizzato, il fatto cioè di dormire. è avere sonno e non poter dormire, anzi, che rende più vicini alle proprie pulsioni; o forse genera pulsioni palliative, la fame, la libido, l'improvvisa esigenza di scrivere due righe. mentre dormendo, si dice, le pulsioni le realizzi col sogno.


e il punto è qui: capita che il sogno uccida l'ambizione, che talora i sogni siano talmente reali da toglierci la libido di realizzarli. ed è per questo che bisogna smettere di sognare e iniziare a dedicarsi agli oggetti.

accettiamo e glorifichiamo la società dei consumi, coccoliamoci nella lucentezza di giovani lamiere, di solidi legni, di ikea e di mc donald's. chi non subisce il fascino commosso della funzionalità unita alla perfezione geometrica? chi non desidera comprare il comprare?


lo so, non è niente di nuovo. ma c'è ancora l'orgoglio ebete di schiaffare le chiappette su un sedile che profuma di fabbrica, i peperoni in un frigorifero miracolosamente inodore, i libri in uno scaffale che non ha ancora mai conosciuto la polvere, le dita fra le pagine illibate di un profumatissimo, geometrico libro. e se siete musicisti saprete che uno strumento musicale nuovo di zecca è la prova schiacciante dell'esistenza di Zeus con tutto l'Olimpo.


e per comprare gli oggetti c'è il lavoro. lavori e qualcuno stampa denaro per te; poco, fattelo bastare.

ma se l'illusione del benessere è data dalla potenza d'acquisto, non è altrettanto vero che cotanta potenza d'acquisto segue - e non precede - l'illusione del benessere? il dilemma è, in altre parole: compro l'euforia o euforizzo l'acquisto? e può, l'economia di mercato, basarsi su questo paradosso sostanziale?


non saprei cosa rispondermi, ma fortunatamente riesco a darmi una regolata, resisto alla tentazione di comprare tutto il comprare. non resisto però alla tentazione di dire che la vera libido del mondo occidentale è il fantasma dell'acquisto di là da venire, quando la tasca sorride ancora e l'oggetto del desiderio - per sempre e per un istante lungo una strisciata di bancomat - non ci appartiene. dopo, inesorabilmente, il sogno e la dedizione all'oggetto implodono l'uno nell'altra.

mercoledì 7 novembre 2007


il sole basso delle 16, ed è novembre, mette in scena la primavera. e d'autunno questa luce sorprende di più, come al cinema: oggi è davvero una bella giornata. al lavoro c'è poco da fare, trovo il tempo di scrivere un post. ho portato con me un libro ma non è abbastanza.

da domani mi porto l'uncinetto, avrò tempo di imparare a fare maglioni. mi porto un pad di gomma e mi metto a ristudiare i 26 rudimenti ufficiali. mi porto un puzzle, un kubo di rubik. il lavoro toglie tempo, ci si lamenta di questo, ma a me il lavoro di tempo ne da.

potrei studiarmi la storia del mondo su wikipedia e capire dove possa infiltrarsi la prossima rivoluzione.

potrei allenare l'olfatto. ascoltare le 9 sinfonie di beethoven. già, questo mi sembra un bel punto di partenza, in ogni caso.

c'è un gran bisogno di quel tipo di ordine lì, ottocentesco. di quella perfezione armonica tutta occidentale, orecchiabile e coltissima, lontana da certe drogherie moderniste del secolo passato. il secolo breve ebbe il complesso di edipo, credendosi Zeo uccise Crono facendogli vomitare tutti i suoi figli, scoprendosi Attis fece all'amore con Cibele, sua madre, la Storia, o la Scienza, in tutti i modi la Madre. La Grande Madre. Essa è raffigurata in trono, tra due leoni, e col tamburo in mano. devo rimettermi sui 26 rudimenti ufficiali.

e poi Attis tradisce Lei, e perde la Vis, e si trasforma in Pierpaolo Pasolini. Barbaramente qualcuno lo uccide, appena 5 giorni e 22 anni dopo.

e poi basta, il secolo breve non crede nella reincarnazione. C'è proprio un gran bisogno di quell'ordine lì, ottocentesco.

frattanto il sole è andato via. allenerò il gusto sottraendo indebitamente all'hotel un gianduiotto alla cannella.

Come vedo Beluga fra circa 5 anni ...

martedì 6 novembre 2007

perché mi è così difficile capire chi cazzo sei, e perché più di ogni altro essere umano che conosca mi ispiri questa penosa, assurda domanda?

tutto è dietro quelo naso discretamente ingombrante.. un mistero fitto, appassionante, una gioia amara e discontinua.. un fiume dubbioso, regolare e gigantesco, un dolore che so domare e che poi inaspettatamente mi trafigge, mi lacera, mi getta nel sonno più ignorante che c'è..

la Domanda, il Perché di tutto, la semplice soluzione, l'affetto puro, l'Amore immaginario.. l'abbraccio senza pace, il Bacio, l'apnea..

non ti senti addosso questa insostenibile grandezza, indipingibile bellezza, inevitabile sconfitta?

non esiste cellula tanto piccola da non poter essere baciata.

lunedì 5 novembre 2007

ho pensato a volte di essere l'interprete autentico della mia epoca. un uomo perfettamente medio, né un genio, né uno sprovveduto. uno che si muove piuttosto bene nella realtà delle cose ma che non disdegna l'evasione. ammetto che non si sta male ma vorrei sempre che le cose andassero diversamente. le cose mie e quelle di tutti; che vanno anche bene, lo ammetto, ma anche no.
e sono uno che si affanna a rispettare e far rispettare la verità ma che ha qualche nascondiglio inoppugnabile, quando serve. e anche quando non serve.
ci si rende conto, ad un certo punto, che non si può fare a meno degli altri.
soprattutto non si può fare a meno di capire, di sforzarsi di capire quali desideri, quali pulsioni, quali malattie e quali ambizioni spingano gli altri ad agire come te, o diversamente da te.
quello che non ho capito mai del tutto è come facciano gli altri a non essere me; o come facciano a smettere di esserlo se lo sono stati.
la simbiosi degli essere è ciò per cui vale la pena respirare, respirare è ciò per cui vale la pena la simbiosi, per quanto la simbiosi sia a volte faticosa, tanto faticosa che stai lì lì per mandare tutto in vacca e arrivederci, a volte.
c'è bisogno di essere davvero vicini, tanto vicini che toccarsi non è abbastanza. c'è bisogno che gli occhi si incontrino in un unico punto di vista, almeno per qualche istante.
vorrei che i miei occhi e i tuoi vedessero allo stesso modo, per qualche istante almeno. che il tatto fosse quello di ciascuno, e quello di tutti e due insieme, e quello di tutti.
quando si parla di diritti non va usato il condizionale: voglio che sia così; voglio vestirmi della pelle del mondo.
non mi attendo nulla, da questo. solo che le cose abbiano un po' meno le fattezze del vetro, e un po' più quelle della carne che respira e che sente. il vetro smorza le voci, rifrange le luci, deforma le forme, isola gli odori, illude di poter toccare.
voglio un rumore di vetro che si spezza, uno sguardo improvvisamente diverso e condiviso.
voglio te, voglio Altro, voglio tutto quello che voglio.