venerdì 31 agosto 2007


TRECENTO

Mi ritorna in mente la selvatica ebbrezza di chi, bambino, non è sorvegliato compiere l'avventura immaginaria. La distanza dallo sguardo familiare ti avvicina al sogno che poco ci manca per toccarlo, ed è un miracolo, e grazie al cielo, che il bastone non si trasformi in fucile, e che tu non faccia "saltare le cervella" al tuo migliore amico. Bdrsch, fai vibrare le labbra, e quant'è bello imitare il suono di uno sparo, e sentirti imitare dalle facciate dei palazzi, un istante dopo. L'irresistibile nitidezza dell'eco. Ancora meglio arrotare tra i denti una e più scariche di mitragliatore, ma si tratta di un gesto più intimo. Che sia solo il tuo migliore amico a sentirlo, anche da morto, quanto gli stai facendo risaltare le cervella, rosso sul grigio della terra, colpo di grazia, ovvero il gusto dell'orrore più efferato che ti venga in mente, senza paura. Non te l'hanno ancora insegnata.

E le cartucce non finiscono mai, fino al giorno in cui le perdi tutte, in un solo colpo preciso, ma questa è un'altra storia.

Il cantiere assolato è un canyon di pozzolana, no, è un canyon vero e proprio, il Grand Canyon. Ed io sono un ladro, un carabiniere, Indiana Jones, l'ultimo dei Mohicani, una tigre, un drago, WARP! warp!, un cavaliere appena sceso da cavallo, o pronto a risalire.

La drammatica ebbrezza del gioco. Nessuno sa quanto davvero tutto sia in gioco, nell'avventura immaginaria. E' un miracolo che la gran parte di noi ne esca viva.

Esca viva, il ragazzo, per un mondo pescecane.

Poi, all'improvviso, cadavere a quattro di spade, sotto un diluvio che vorrebbe non finire mai. Eccolo che resuscita, ed è Gesù - di Nazareth e di Zeffirelli -, salma baciata dalla giovane madre, in quel modo goffo di fare le cose che si vede al cinema e che ti fa vergognare segretamente dei tuoi stessi occhi. Niente cartucce, solo una ventiquattrore. Hai tempo sino al luogo e all'ora dell'appuntamento per decidere cosa c'è dentro. No, hai più tempo ancora, purché tu sappia trasformarti - nell'istante della consegna - da te stesso in chi la ventiquattrore prende in consegna. Dettaglio di mani che se la scambiano e poi un carrello segue lateralmente i passi dell'altro che si allontana. E nel giro di un paio di quadri si scopre che sei sempre tu, sono sempre io, e sorrido, sorrido perché so che mi stanno inquadrando, anche se faccio finta di niente. E nel frattempo ho poggiato sulla testa un cappello, barba sfatta, e la luce è cambiata, è un'alba, o un tramonto. Ma stavolta occorre davvero stabilire cosa contenga la valigetta, salvo rimandare il problema a data da destinarsi. Unico indizio: niente cartucce, e forse un'arma, non necessariamente letale. Ma di certo mai utilizzata.


mercoledì 29 agosto 2007

Poi si dirà che parlo difficile, ammesso che qualcuno ancora mi legga, che qualcuno ancora legga i blog, che qualcuno faccia ancora uso di internet, che qualcuno ancora faccia uso di qualcosa. E di fatti il punto, secondo me, il punto è che IO non faccio più uso delle cose, e mi sembra come se, a volte, le cose facessero uso di me. A volte oppure sempre. La questione è meno banale di quanto non si creda, non è la schiavitù agli oggetti. A me sembra che non sei tu che scrivi il blog, mi sembra che sia il blog che ti scrive. Ogni volta che metti piede in questo luogo senza spazio anche tu smetti di averti, le mani assenti ti scrivono, il blog ti crea, ti ricrea nel giro di poche parole. Il blog si alimenta del tuo vizio, e lo alimenta, come il cane che si morde la coda, come il gatto che si morde la coda, come il serpente che si morde la coda, come la coda stessa, che è attributo diabolico e nelle lucertole, se gliela tagli via, vive addirittura di vita propria, sebbene per qualche istante soltanto.
E' la coda che ti vive, è il blog che ti scrive, è l'oggetto che ti pensa.
Mi sono chiesto, allora, mi sono chiesto se poi possano cambiare le cose, almeno in parte, almeno un po', quando smetti di lasciare che le cose ti pensino e inizi a pensarle sul serio.
Inizia col pensare, ad esempio, che sei in grado di pensare. Diciamo che sei condannato a farlo ma la condanna non è mai nell'opportunità, la condanna è nella costrizione, giusta o ingiusta che sia. E allora lasciarti pensare è una condanna, ma prendere sul serio il pensiero e metterti a pensare significa dare all'opportunità il valore che merita. Che poi le qualità che hai non devi metterle a frutto, devi semplicemente metterle in moto. C'è un solo modo per farlo, ed è smetterla di aspettare che le qualità mettano in moto te, perché potrebbe non avvenire mai. E' come attendere che un giorno, al risveglio, ogni cosa sia chiara come l'acqua chiara. E' assai probabile che non accada mai, e ad ogni modo può accadere e non accadere, cinquanta e cinquanta.
E allora svegliati un giorno e osserva l'acqua. Se l'acqua non è chiara sarai in grado di capire perché non lo è. Se l'acqua non è chiara non devi lasciare che ti beva. Ma questa metafora non mi porterà lontano.
La volontà è un'arte piena zeppa di futuro.
Se hai una poesia, non lasciarti recitare, scavala nel sasso.

sabato 18 agosto 2007

Tina mi guarda impagliata, ed e' un rimprovero.
Ce l'avra' forse col fatto che parlo e mi muovo in maniera imprudente. Gli oggetti hanno pesi diversi, bisogna ponderare i gesti.
Andro' a dormire, scacciando di peso Tina dal mio letto.
Ci andro'. Ma non perche' sia tardi, non perche' abbia sonno. Solo perche' ho voglia di sentire la differenza tra oggi e domani, tra oggi e ieri.
Ogni mattina, da qualche tempo a questa parte, mi sono pesato, prima di colazione.
Da domani, da oggi, vorrei pesare tutto il resto, tutto quello che non sono costretto a portarmi addosso.

venerdì 17 agosto 2007


Mi annoio - Resisti!

giovedì 16 agosto 2007

Il mio gatto ne' robusto ne' magrissimo confonde il sonno con la liberta',
mangia sempre poco meno o poco piu' ma mai precisamente quel che gli si da'. Se gli dai una mano capovolge il secchio dei rifiuti e semina cartacce mozze ai quattri venti. Sara', non e' il mio gatto quello, quello e' il tuo. Ma i gatti sono tra loro tutti simili, altrimenti non li chiameremmo tutti gatto. I gatti hanno un nome se gliene dai. Senno' i gatti fanno tutti miao e tra loro si chiamano miao.
Il gatto e' curioso. Curiosity Kills the Cat, ho sentito dire.
Azzope'. Si' (avrete notato che mi mancano le lettere accentate), bisogna piantarla con la curiosita'. Il gatto va ucciso ma la curiosita' uccide il gatto soltanto dopo sette vite e nove code. I titoli di coda, o di testa, e comunque una volta per tutte, dichiareranno che ogni riferimento a fatti accaduti o persone esistenti e' puramente casuale. Ma non puo' essere vero. Non e' il caso.

Ha ragione Pio'tr a dire che cercando non sempre si trova qualcosa ma pur sempre qualcosa si perde.
Uscito dal lavoro m'ero ripromesso di riposare e invece ho ritrattenuto. Finche' non ti pagano il lavoro sembra un gioco stupido. Quando ti pagano ti chiedi se davvero fosse necessaria la tua forza per fare quel che si e' fatto. Lo stipendio sembra un regalo di quelli inutili, tipo una cornice d'argento.
Serviva proprio che lavorassi io? Non bastava la forza degli altri? E perche' dirmi quanto vale la mia forza senza trattenute? Posate le trattenute, trattenete le posate, a tavola. E' la pausa pranzo. L'ora d'aria. Non torno, lavorate voi per me, questo direi ogni volta.

E io frattanto andrei a fare due passi in citta', una citta' a caso. Anche sotto la canicola, che importanza ha. All'occorrenza rientro al lavoro e mi godo l'aria condizionata. Aria condizionata sembra un sinonimo di liberta' vigilata. Non ci avevo mai pensato.

martedì 7 agosto 2007


Le parole sono importanti? Dipende per chi. Nel momento in cui non riesci ad esprimere a parole uno stato d' animo, magari particolarmente turbolento, aggravi una crisi già in atto? Oppure stai già filtrando attraverso canali non convenzionali la tua angoscia?

Le parole sono importanti. Per me. Adesso. Quelle giuste, quelle che permettano magari soltanto a me davanti allo specchio di di far arrivare alle mie orecchie e al mio cervello, quindi ad uno stato conscio, pensieri turbinanti e spessi come coltri invernali.
Per superarli ci sarà poi tempo, presumo.

Cercherò, butterò giù qualche schema di parole incrociate e nel frattempo fumerò dieci sigarette davanti ad una planimetria della Tessaglia antica.

Salud a tutti.

sabato 4 agosto 2007


- Tu che ne pensi Piòtr? Significa forse che io sia un dispiacere?

- Un dispiacere necessario, attenzione

- Che cos'è che rende necessario un dispiacere?

- Il fatto che sia a tutti gli effetti un piacere mancato

- Allora è quello che faccio anche io, quando cerco di dispiacermi a tutti i costi..

- Certo

- Sarà perché mi sembra poco stare nella pelle?

- No, sarà perché ti sembra difficile starci. Eppure è tutto quello che sai fare

- E non lo faccio. Perché?

- Perché hai capito che gli occhi sono più di due. Ma il fatto che tu l'abbia capito non vuol dire che sia vero

- Non si può stare nella pelle e al tempo stesso avere più di due occhi?

- E' tutto quello che fai. Si può fare. E chi ti benda dapprincipio non lo sa, ma poi lo capisce, che ci vedi ancora. Le cose le capiamo sempre con un isante di ritardo

- E poi se ti bendano gli occhi capita che le orecchie sentano più forte

- Capita che le orecchie sentano cose che non esistono

- Davvero non esistono quelle cose?

- Esistono se vuoi sentirle a tutti i costi. Devi scegliere: il vaso, o i due volti l'uno di fronte all'altro

- Tra me e te c'è un vaso, ora mentre parliamo?

- Come puoi pensare al vaso mentre io e te stiamo parlando?

- Il vaso è il piacere mancato, no?

- Anche i due volti lo sono. Ma se ci pensi non capirai quello che stiamo dicendo

- Ma è di questo che stiamo parlando, di due volti e un vaso

- No, stiamo parlando e basta, potremmo cambiare argomento senza per questo smettere di parlare

- E senza per questo smettere di essere due volti, oppure un vaso

- Già. E' un dispiacere necessario

- E' un piacere mancato

- Levati quella benda

- Che succede se me la levo?

- Niente di niente

- E allora perché dovrei?

- Perché non è saggio fidarsi di quello che ti dice Piòtr
E io mi levo la benda, e c'è Piòtr. E' già di spalle, cammina lontano. E anche io mi volto, me ne vado. Se qualcuno ci stesse guardando si sarà accorto che s'è rotto un vaso.