giovedì 11 gennaio 2007


Malgrado la mia esperienza barcellonese stia dando un tocco di spessore alla mia carriera di musicista, sopravvive in me una certa malavoglia di andare alle prove. In altri tempi avrei riversato ogni volta tutto il mio tedio sull'esecuzione e nel giro di pochi incontri avrei mandato in vacca - e l'ho fatto - qualsiasi gruppo. Con i Superfolie ciò non avviene perché facciamo una musica quadrata e povera di improvvisazione, che mi incute una concentrazione svizzera e mi riempie di autostima ritmica. Non avviene anche perché sabato abbiamo il concerto, e tutti, persino io, vogliono ben figurare. Stasera avevamo fatto le ultime prove; poi Xavi dice, fa - andiamo al buffet libre. Si tratta di andare a cenare giapponese a crepapelle. Xavi però si rivolge agli altri, a me non mi invita, dando evidentemente per scontato il mio rifiuto, per ragioni che tuttavia mi sfuggono. Io sento di voler partecipare e dico: ragazzi, ci si rivede prima del concerto? Magari una cena, una birra. Albert, dopo una serie di ipotesi e congetture, mi fa - Beh, vieni a cena con noi ora, al buffet libre giapponese. E io - vale, ok, vengo, venga.

E andiamo in questo ristorante giapponese. La sala è enorme e ci siamo solo noi, più camerieri che clienti, sono le 23. La storia funziona che c'è questa pista circolare scorrevole con sopra mille piattini con dentro ogni ben di Bodhisattva, e ognuno piglia quel che vuole, fino a che non si sente di morir. Di volta in quando viene un samurai a rimpinzare il gioco con piattini sempre nuovi. Io accumulo una quantità di piattini vuoti ben superiore a quella di qualsiasi altro convitato; ci annaffiamo di tinto de verano, poi un caffè corretto cadauno (il caffè suicida), a seguire ci portano del sakè tiepido, Albert rompe una tazzina, risate, poi arriva il conto, sorrisi tiepidi più o meno come il sakè.

Ci alziamo tronfi e borracci, io propongo - chicos, torniamo in studio a provare il repertorio, che se ci viene bene in queste condizioni allora siamo a cavallo. Albert dice che lui deve alzarsi alle 6 ma il resto del gruppo mi da spago e in men che non si dica ci ritroviamo a La Pau con gli strumenti in braccio, salvo che io la batteria in braccio non ce la prendo.

E' l'una di notte passata. Kiko dice, fa - facciamo finta che è il concerto. Allora abbassiamo le luci e suoniamo tutto d'un fiato. Andiamo come il vento, sudiamo, incrociamo occhiate di soddisfazione. Finiamo che sono le 2 e mezza. Albert dice che arriverà tardi al lavoro. Albert fa il medico in ospedale, spero di non aver di che essere ricoverato domattina all'alba, e che i Bodhisattva me la mandino buona, con tutto quello che ho messo in corpo.

Si chiude così il ciclo delle prove coi Superfolie, nel migliore dei modi. Il concerto è una storia da scrivere. Comunque vada, grazie a Kiko, Xavi e Albert, tre dei pochi amici che ho avuto qui.


In questi giorni ho le sensazione di starmi riscrivendo, di starmi ricostruendo un tassello alla volta. Ho speso un po' di soldi in vestiti e scarpe. Mi pare di avere un sacco di memoria a disposizione, un miliardo di cose da dire e da fare, una tonnellata di voglia di farle, senza ansia, con concentrazione svizzera e autostima ritmica.

Le mie narici, che qualche settimana fa soffocavano nel fumo, ricominciano a distinguere gli odori. Ci vuole pazienza, non s'è mai sentito che un naso appassisca.

Nessun commento: