giovedì 7 settembre 2006

Uno sconosciuto (parte XV)

In alto la fitta torma s’era finalmente aggruppata in quattro nubi massicce. Tra di esse una luna più vaporosa giocava a nascondersi e riapparire. Era lecito aspettarsi una serata mite. Un altro lato del cielo era di un azzurro intatto, uniforme; l’aria risplendeva diffusamente ed il sole magnificava un tepore fresco ed immobile. Antipyrgos e il suo nuovo amico passeggiavano ora lungo i sentieri di un giardino del centro, lieto l’uno che il caso l’avesse infine condotto in un luogo tanto rassicurante, lieto l’altro che l’uno fosse lieto.

Solo mezz’ora prima, allontanandosi dall’ateneo nella più perfetta solitudine, Antipyrgos aveva attraversato tre o quattro strade tra macchia e cemento brullo, costeggiate ai due lati da pianori di terrame grigio e spaccato; in fondo ad essi si ergevano gli scheletri di case non ancora nate. Spirava un venticello affilato e pareva dovesse piovere da un momento all’altro. Il giovane aveva insaccato poi la radura del Langravio, tra due palazzi troppo grandi, dal fondo di via Bretzel; così era scritto sul rettangolo di marmo, via bretzel; che quella si chiamasse radura del Langravio, invece, gliel’aveva detto un uomo che passava di lì per caso…

“Ehi tu! Giovane!”

Antipyrgos si arrestò, trasalì leggermente; qualcuno, ad un migliaio di chilometri da casa sua, gli si stava rivolgendo nella sua lingua. Si voltò: vide un tipo alto e magro, con un paio di baffi sottili come i suoi occhi e, sulla testa, una selva di ricci nericci.

Hai dei fiammiferi?”. Antipyrgos, esitante, si tastò le tasche dei calzoni, trasse un accendino, glielo porse. Lo sconosciuto, riparandosi dal vento con una mano, diede fuoco ad una sigaretta piccola e storta, spiandolo di sottecchi. Il giovane non poté trattenersi dal chiedere:

“Come sapevi che ero italiano? Non ho mica la faccia da italiano, io. E siamo a Vienna.”

“Non hai la faccia da italiano, tu?” fece l’uomo, restituendogli l’accendino. “Non hai la faccia da italiano?”

“Ho la faccia da italiano?” chiese Antipyrgos, sorridendo. L’altro ricambiò il sorriso:

“Benvenuto nella radura del Langravio. Il luogo meno accogliente della città. Io mi chiamo Ziga Leitner - disse tendendogli una mano ossuta - Sono poeta.”

“Antipyrgos Parlagrieco, aspirante scrittore.”

“Come hai detto?”

“Aspirante…”

“No, voglio dire, ti dispiacerebbe ripetermi come ti chiami?”

“Antipyrgos. Ah, lascia perdere, è una storia lunga e un po’ triste – disse, agitando una mano - Tu, piuttosto, come conosci la mia lingua?”

“Dalle mie parti si studia parecchio, amico mio; il più incolto dei miei conterranei di lingue ne conosce almeno tre o quattro.” fece Ziga, con voce falsamente altezzosa.

“Caspita!” non poté fare a meno di esclamare Antipyrgos, non senza un tocco di allegro scetticismo. Leitner accennò ancora un sorriso complice:
“Lascia che ti accompagni per un tratto, c’è di meglio da vedere che quest’erbaio, conosco bene la città.”

“E’ molto che ci vivi?” fece il giovane, accennando a riprendere il passo.

“No, non sono queste, le mie parti - ribatté Ziga, soddisfatto che l’altro avesse implicitamente accettato l’invito a proseguire il cammino assieme – ma dove sto io, ripeto, ci insegnano molte cose.”

“Vi insegnano anche la topografia dettagliata delle città del mondo?”

“Anche questo.”

Risero. Poi Ziga soggiunse:

“No, sono qui da quasi tre settimane. Un viaggio di piacere. Tutti i pomeriggi mi trattengo un paio d’ore nel parco della biblioteca, che sta qui vicino.”

Passeggiavano. Si liberò loro tutt’intorno un cielo polmonare, diffusamente biancosporco e sfocaticcio, che illividiva appena in un cerchiastro più lucente proprio di fronte. Antipyrgos si voltò, colto dal bisogno di veder rimpiccolire i due palazzoni di prima, ma ebbe un effetto inatteso: la distanza e la luce frontale li glorificavano.

“Strano posto, questa città, non trovi?” domandò Ziga.

“Mi pare un posto tranquillo. Mi aspetto di restarci a lungo” fece il giovane, ostentando una certa chiarezza di idee. L’altro lo interrogò:

“Stai cercando qualcosa?”

“Nulla di concreto. Nulla che si possa riconoscere a prima vista.”

“Che intendi dire?”

Il ragazzo parve perdere la sicurezza di un istante prima:

“Cerco piuttosto uno stato mentale. Cerco… cerco una serenità… come dire... Su tutto cerco un modo per fare tutto quello che voglio fare, senza dover rinunciare ad una cosa per l’altra. Capisci che intendo?”

“Beh, non è poi difficile…”

“Certo, è solo una questione di tempo, voglio dire, del tempo che hai a disposizione.”

“Il lavoro ti prende molto tempo?”

“Che lavoro? No, non lavoro. Ma la quesitone è un'altra. Vorrei avere il doppio del tempo che ho, in modo da dover attendere la metà del tempo per vedere i risultati dei miei sforzi..."

Sul volto di Ziga scese uno sguardo a metà strada tra curioso e perplesso. Antipyrgos sentiva la necessità di correre ai ripari. Tuttavia provò a farsi coraggio e a continuare il discorso iniziato:

“Sai che penso? Ah, lascia stare, è un’idea sciocca…”

“No, dì, dì, ora voglio sapere!”

“Quand’ero a Roma talvolta c’ho provato… Ho provato a smettere di dormire… Si può fare, secondo me si può smettere di dormire!”

Ziga lo interruppe d’improvviso. Diede alla sigaretta una profonda, ultima boccata. Poi prese a raccontargli la storia di un’isola di pescatori, di un caffè, di tre signori che giocano a carte, di pirati che la sanno lunga, di misteriose navi che salpano tutte le notti verso chissà dove, di un carcere di massima sicurezza come se ne legge solo sui libri…

Intanto erano giunti ai giardini della Biblioteca Imperiale, s'erano seduti sotto un leccio; poco dopo s'erano rimessi in marcia. Antipyrgos si meravigliò di come, senza che ne fosse reso conto, fosse passato da un paesaggio tanto desolato ad uno così confortante, dal maltempo al sole, dalla solitudine alla preziosa compagnia di quell’uomo, quel Ziga; un giovane brillante, colto, persino divertente. In alto la fitta torma s’era finalmente aggruppata in quattro nubi massicce. Tra di esse una luna più vaporosa giocava a nascondersi e riapparire. Era lecito aspettarsi una serata mite.



2 commenti:

magritte ha detto...

bravi ragazzi, state piottando furiosamente con questo romanzo...essendomi perso intorno alla parte V, adesso mi copio e incollo tutto in word, me lo stampo e me lo leggo su carta...vi faro'sapere, e chissa'che non riesca a riattaccarmi al treno...

Domhir Muñuti ha detto...

Ti invito a riagganciarti, non i vorrà molto.. Datti da fare!!
INRNJS (uhm... vaghe reminescenze bibliche)