venerdì 8 settembre 2006


LE BACCHE DI RIBES (Parte XVI)
"Si, si, come no Doc, il succo di ribes è l'antidoto e l'aranciata amara è il veleno". L’affermazione doveva essere spiritosa, ma invece uscì fuori come l’ennesima dimostrazione dell’antipatico, offensivo e superficiale atteggiamento denigratorio maturata nei silenzi del braccio di Eltersdorf.
Il Dottore mostrò una notevole capacità di autocontrollo e pazienza, doti che in casi come questo avevano il potere, quasi magico, di rimarcare con sottile discrezione l’inopportunità delle parole pronunciate, facendole rimbombare con impudica insistenza nel baratro d'oblio nel quale erano destinate a cadere. Quindi, per niente mortificato, aggiunse in tono bonario: "Senti, Selvaggio, non nego che l'aranciata amara possa essere sgradevole e sicuramente non piace a tutti, ma mi devi credere, il succo di ribes è l'antidoto. Anzi, non ti dico di credermi. Dall'alto della tua pragmaticità, semplicemente, provalo!". L’ultima frase la pronunciò rallentando, svelando la semplice soluzione di un problema inesistente.
"E se anche fosse così, dimmi, come potrebbe una pianta comune in Africa o in India essere coltivata su un'isola del Baltico? Voglio dire, il clima e tutte quelle cose là...".
"Semplice. Una serra artificiale. Di spazio, viste le dimensioni del complesso ne dovrebbero avere tanto. E anche di risorse. Convinto?”. Ovviamente non ci poteva essere risposta che non fosse negativa, lo sapevano entrambi, e il Selvaggio preferì far finta che la domanda fosse retorica. “Ecco qui”. E mise sul tavolo con un gesto plateale un barattolo di vetro, chiuso con una stoffa sottile fissata da un elastico.
All’interno del recipiente erano costipate in ordine sparso piccole praline variamente colorate. Bacche di ribes, alcune delle quali ancora mostravano orgogliose all’apice le vestigia del fiore. Ora spuntava una sfera accesa di rosso, ora una timida di rosa, ora una pallida di giallo, ora una austera biancastra, ora una decisa di nero, ora una elegante in viola scuro. L’effetto ottico era meraviglioso. Nella trasparente tavolozza i colori brillanti si mescolavano in un innaturale arcobaleno con le tonalità più opache, regalando alla vista un effetto di indicibile bellezza.
Nel locale c’erano giusto un paio di individui: uno con il cappello e l’altro con un maglione rosso. Non facevano altro che gesticolare e fumare, presi e persi un discorso che nessun altro avrebbe appassionato. Probabilmente non si erano accorti di nulla.
Il Selvaggio, ormai poco avvezzo a lasciarsi andare con spontaneità a comportamenti che fanno trasparire quella sensibilità ritenuta a torto tipicamente “umana”, non riuscì a trattenersi dall’afferrare il barattolo ed annusarne il contenuto avvicinando il naso alla stoffa che ne imprigionava il contenuto ad una estremità. Sapeva bene che non sarebbe riuscito a trovare alcun aggettivo adatto a quel profumo, così unico.
Il Dottore se ne accorse e aggiunse per confortarlo: “Quello più chiaro è ribes rebrum. La polpa è dolce-acidula, acquosa. Quello più scuro è ribes cassis o ribes nigrum, dal sapore e dall’aroma volpino. Quando le assaggerai capirai la differenza”. La spiegazione risultò comprensibile e confortante come l’analisi di un fenomeno meteorologico fatta ad un bambino che per la prima volta vede la pioggia, ma almeno la scientificità dell’affermazione non riuscì minimamente a scalfire il fascino di quell’incredibile oggetto che il Selvaggio si ritrovava tra le mani.
Questi allora fece qualcosa di inaspettato: si infilò il giubbotto, vi sistemò il barattolo adagiandolo accuratamente in una delle tasche e si congedò dal Dottore, stupito ed interdetto da tanta risolutezza: “Vecchio, mi hai detto cose che probabilmente non sa nessuno al di fuori delle mura di quella vecchia prigione. E mi hai anche detto altre cose che non avevo detto a nessuno. E non so come hai fatto a saperle. E anche se ti torturassi qui e adesso sono sicuro che non mi riveleresti la tua fonte. Quindi devo risalirvi io, ed ho già un paio di idee riguardo a quali porte bussare. E soprattutto, Doc, la cosa più importante: ci sono cose che non mi hai detto”. Quindi si alzò il bavero del giubbotto, e girò le spalle al proprio interlocutore, incamminandosi verso l’uscita.
Quest’ultimo, quasi impaurito, con frenesia giovanile scattò dallo sgabello e fece per fermarlo, afferrandogli il braccio, ma a parte uno sguardo minaccioso non ottenne risultati.
Fece un ultimo disperato vano tentativo: “Non puoi andartene così!”. Aveva alzato la voce. Il tizio con il cappello smise di gesticolare e di parlare, ignorò perfino la sigaretta fumante appoggiata sul posacenere; quello di spalle, con il maglione rosso, girò la testa e sbirciò la curiosa scena, gustandosela con fugaci assaggi di tabacco. I melodrammi raramente andavano di scena da quelle parti.
“Lasciami stare, vecchio. Tu mi hai fatto una proposta. Io te lo avevo detto, devo riflettere. Tu hai accettato. Nessun rancore. Quando vorrò darti il mio responso, mi rivolgerò all’Oste e lui saprà come e dove trovarti. Ma anche tu dovrai esser pronto a dirmi tutto”.
La presa del Dottore si allentò, il Selvaggio voltò di nuovo le spalle al suo mondo e uscì dal locale, lasciandolo bofonchiare qualcosa che lì per lì non capì: pensava fosse un rimprovero o una espressione di delusione, solo molto tempo dopo sarebbe riuscito a decifrare quell’ultimo misterioso avvertimento.

3 commenti:

falena ha detto...

higuerra, ti ricordo e ti invito a postare con maggiore solerzia possibile l'immagine della "parte XI: smette di dormire".
non puoi esimerti.
come promesso, è uscito. e adesso vedrai...eheheheh...
fatemi sapere cosa ne pensate, lettori (???), siete così tanti che lancerei quasi un televoto...perchè no, un referendum!!!
PNRAU

Domhir Muñuti ha detto...

non ci riesco..
FLIAX (ho lasciato in bianco la casella del codice di verifica finché non è comparsa una parola che mi piacesse... mica male questa...)

s(k) ha detto...

ashjdk
bhklep'