sabato 9 settembre 2006

CHI VEDE L'USCITA (Parte XVII)
Quando si è al buio gli occhi si abituano all'oscurità. Ma quando il buio è totale, anche gli occhi si perdono, assaliti da una paura atavica di un vuoto primordiale. L'assolutezza dell'esperienza comporta la totalità di oblio. E viceversa. Se la certezza che l'uomo ripone nel proprio sguardo vacilla, automaticamente la mente si rivolge agli altri sensi, per così tanto tempo sottovaluti o ignorati.
La vista è il senso più ingannevole, non il più fragile ma il più debole, eppure si è imposto da millenari passati. Il gusto, il tatto, l'olfatto di quando in quando si ribellano, sapendo che a turno avranno il proprio momento di gloria; si accontentano di questo. L'udito è il senso più umile ma non scende a compromessi, neanche lascia intuire la sua più nobile importanza; permette altresì che la vista prevalga per mantenere con buon senso il giusto equilibrio.
Così, solitamente, quando la vista viene spodestata dal proprio immeritato trono, facendo cadere la propria corona e donando il proprio scettro per la salvezza, è l'udito il primo tra i fratelli e le sorelle ad accorrere.
Ma l'appello di aiuto gridato dagli occhi non è razionale, è emozionale: una dichiarazione d'amore nei confronti di sè stessi, quando si perde contatto con la materia e si precipita nell'abisso. Talvolta ci si rivolge troppo tardi agli altri sensi; talvolta la fiducia è compromessa e non riusciamo a credere alle cose che tentano di farci capire; talvolta, semplicemente, siamo così presi dalla sensazione di pericolo che siamo sordi ad altri richiami, non riuscendoli a decifrare.
La natura di quell'animale chiamato uomo è strana. Permette di abituarsi a tutto, anche al niente. Quando si ha tempo di riflettere, le aspettative sono tante, i sogni ancor di più, l'ambizione concilia le due cose, ma la speranza è sempre una: quella di riuscire a riflettere ancora per il secondo successivo, per il minuto successivo, per l'ora successiva, per l'eternità successiva. Se ci si accorge di una luce, il corpo prima si ritrarrà dalla luce, poi la vista tornerà ad usurpare con tracotanza il suo scranno, quindi il corpo si avvicinerà alla luce; ma la mente no. Perchè quello che prima era un desiderio, adesso, per la diffidente mente abituatasi alla mancanza, si rivelerà solo un tardivo e comunque deludente regalo atteso da tanto.
Ci si accorge che l'oscurità amniotica che ci avvolge possiede uno spazio, possiede una forma, possiede inevitabilmente un nostro giudizio, possiede inevitabilmente anche un nostro biasimo.
Tutto questo sentiva il Selvaggio, tutto questo lo faceva sentire spaesato: era uscito dal Cafè Absurd, praticamente per la prima volta. Vi era entrato alle 7 e 03 di allora e ne usciva alle 7 e 03 di ora. Nulla era cambiato dal suo ingresso eppure tutto era così diverso. Non sapeva se il brivido di freddo veniva da fuori o da dentro. Per farsi coraggio rimboccò il bavero del giacchetto, si infilò le mani nelle tasche e giocherellò delicatamente con il barattolo. Imbacuccato, lo sguardo fisso a terra come sconfitto dal peso di una amarezza ineluttabile, si incamminò a grandi prudenti falcate verso il suo obbiettivo, l'orizzonte di quella strada che si apriva alla sua destra.

Nessun commento: