martedì 7 novembre 2006


Catena alimentare

Il cameriere è un mestiere molto bello, e questo non me l'aveva mai detto nessuno.
Uno si siede al tavolo, ordina qualcosa da mangiare e bere e non si immagina quale macchina complessa e perfettibile sia un ristorante. Non immagina che ogni cosa che mangia sporca un tavolo, uno o più piatti e bicchieri, varie posate, un posacenere, tutte cose che poi vanno lavate perché la macchina continui a funzionare. Ti vedi il cameriere che passa con i piatti in mano e pensi - quando pensi - che sia la semplice spola tra una cucina remota ed inconscia ed un tavolo.
Ma il cameriere di tavoli ne ha cinque, dieci, ed ogni tavolo va apparecchiato per un certo numero di persone, ciascuna delle quali sporca uno o più piatti e bicchieri, varie posate, un posacenere, tutte cose che poi vanno lavate perché la macchina continui a funzionare. Giacché un ristorante è una macchina complessa e perfettibile che funziona grazie all'abilità del cameriere di arginare la sua (del ristorante) esponenziale tendenza al delirio della distribuzione del cibo ai clienti e del sudiciume che tale cibo diviene non appena il cameriere lo depone su un tavolo. Il fatto che il cliente mangi o meno è del tutto marginale. Quando un cameriere affida un piatto al cliente sa che ciò che gli sarà reso è lo sporco. Roba da buttare, da lavare, da asciugare, da riordinare, perché la macchina continui a funzionare.
Oggi ho fatto chiusura, era un turno straordinario, mi chiama coso, Jorge, e mi fa: puoi venire tra un'ora? Sì, posso venire. E piglio e vado, lavoro. E fare chiusura è un bel casino, perché hai voglia ad arginare lo sporco man mano, mentre fai il tuo lavoro di cameriere, quello di facciata, quello di spola: alla fine resta un macello di cose da buttare, pulire, lavare, asciugare, riordinare perché il giorno dopo la macchina riprenda a funzionare. E bisogna infilare le mani nella merda, bisogna portare fuori i secchi della mondezza, spazzare, passare il mocio, tirare le sedie sui tavoli.

Capite bene che il cameriere, il lavoratore, è demiurgo, è geogono.
Perché la mia permanenza in questa città continui a funzionare, perché tutto il mondo continui a funzionare, devo lavorare.
Il mio lavoro è il cameriere in un ristorante, in una catena di ristoranti, ed è un lavoro che ancora non so fare bene. E' un mestiere, ed ogni mestiere per farlo bene ci vuole mestiere. Ed ogni mestiere a farlo bene ti dà soddisfazioni, e a farlo male comunque ti dà denaro, ti da da mangiare.
Lavorare è una delle cose più belle che abbia mai fatto.

3 commenti:

magritte ha detto...

Welcome to the cruel world (titolo del primo album di Ben Harper, che ho avuto la fortuna di vedere in concerto esattamente una settimana fa)

sgamas ha detto...

bravo ragazzo, questo è parlare..quanta energia e quanto ottimismo nel tue parole..tra colleghi poi ce lo possiamo dire: buttare l'immondizia alle 2 di notte non è qualcosa di difficilmente descrivibile? l'odore dei sacchi ancora caldi pieni di avanzi sulla schiena, non è poesia allo stato solido?caricarseli con la sigaretta in bocca per essere ancora più rozzi, ce n'est pas magnifique?..e poi le urla del cuoco, le bestemmie del lavapiatti che si raccomanda di vuotare i piatti prima di metterli nel lavandino..le mani che puzzano di aceto usato per lucidare le posate..ah ah..ma che ne sapete!

Domhir Muñuti ha detto...

Dici bene. Ieri pensavo: che mi sono perso a non averlo mai fatto prima.