giovedì 14 settembre 2006


LA DAMA NERA (Parte XVIII)

Il Selvaggio camminò svelto: ampie falcate come se stesse scappando da qualcuno, bavero alzato come se si stesse nascondendo da qualcuno, lo sguardo fisso a terra come se non si fidasse dei propri piedi e rapide fugaci occhiate verso l’orizzonte di quella via, tanto per essere sicuro su dove stesse andando. La luce era fioca e soffocata dalla condensa di aria pesante che, quasi tangibile, avvolgeva tutta la strada. La mente in quel momento era spoglia. Il camminare veloce e le folate gelide di vento rallentavano i pensieri che non riuscivano a stare al passo, erano troppi, si accavallavano, si ostacolavano, non facevano gioco di squadra e inevitabilmente rimanevano confinati in una parte marginale di cervello, senza riuscire a mettersi in mostra, mescolandosi a sprazzi di ricordi e sensazioni andate.
Arrivò in poco tempo davanti ad una porta di legno. Piccola. Si apriva solo una delle due ante e lo spazio era appena sufficiente per far passare una persona di traverso. Esitò per un attimo. Era tentato di bussare al custode del condominio per farsi aprire, in quanto non voleva che la sua visita fosse annunciata, temendo un secco rifiuto. Si era fermato e i pensieri stavano per assalirlo nuovamente, senza scampo e bloccarlo in vorticosi dubbi amletici.
Ma fu presto destato dal cigolare della porta che si stava aprendo dall’interno. Inizialmente rimase immobile, quindi si fece cortesemente da parte per far passare. Dal buio dell’interno del palazzo uscì una figura ancora più oscura, dai contorni non definiti. Era paralizzato, impietrito. Quando la nera figura si affacciò lentamente oltre l’uscio capì che era una donna. Di nero vestita. A lutto. E sul viso portava un velo che non mostrava i contorni degli occhi, della bocca e del naso, li faceva intuire con il riflesso della luce, li faceva immaginare con la trasparenza del velo. Il Selvaggio in un secondo momento, ripensando a quell’istante, non poté esimersi dal riflettere che tutto ciò era terribilmente sensuale e sensualmente terribile. Sapeva che per un istante almeno i loro sguardi si erano incontrati. E si era perso nella notte.
Era rimasto a bocca semi-aperta, come quando si sta per dire qualcosa ma la lingua si rifiuta di pronunciarla, come quando si sta per balbettare ma ci si interrompe prima di emettere un qualsiasi suono. Probabilmente non era la massima espressione di intelligenza quella che il Selvaggio aveva mostrato in quel momento. In passato si sarebbe rammaricato di ciò: teneva molto ad apparire al mondo straniero (rappresentato da chiunque purché sconosciuto) una persona tutta d’un pezzo, ormai formata, intaccabile, impossibile da prendere di sprovvista; la prigione lo aveva cambiato, gli aveva fatto accettare la spontaneità che la società gli aveva imposto di togliere.
Il tutto durò una frazione di secondo. Perché la Dama Nera uscì dal portone, e scomparve avvolta dal velo della notte che, allontanandosi, si avvolgeva alle sue spalle come a proteggerla, come ad abbracciarla.
Il Selvaggio aspettò interdetto finchè la strana figura non scomparve del tutto alla sua vista, la quale in galera si era tanto abituata al buio ma non riusciva a penetrare se non di pochi metri l’assoluta oscurità che come un muro si ergeva al di là della luce del lampione. Quindi si fece nuovamente carico dei buoni propositi, quei buoni propositi che per un attimo d’incanto aveva d’incanto dimenticati.
Salì come una furia le scale, per scrollarsi di dosso quella immagine scura, affascinante, tremenda che gli sussurrava la mente, e quando arrivò alla porta dell’appartamento, neanche riuscì a stupirsi più di tanto nel trovarla socchiusa.

1 commento:

falena ha detto...

lo so, non l'ho scritto al massimo della mie possibilità italianolinguistiche ma apprezzate ugualmente la sostanza che c'è e ritornerà e io apprezzerò critiche e suggerimenti per migliorare questo post.
almeno ho inserito una figura femminile nel nostro romanzo d'appendice così misantropo...una figura femminile che c'è e ritornerà...
SWCVVTN