sabato 2 settembre 2006


IL RIFLESSO SCARLATTO (Parte VI)
Ancora buio. Il buio dei suoi occhi. Finchè la luce non iniziò a penetrare carezzevole tra le sue palpebre che gentilmente si schiudevano. Anche la persona più dura torna a sembrare dolce e degna di compassione quando compie quei gesti così infantili, così spontanei. Come lo svegliarsi, stropicciarsi gli occhi e guardarsi attorno come se fosse la primissima volta che si guarda intorno. Ma per il Selvaggio era come se fosse, se non la prima, la seconda volta. Solo il giorno precedente era uscito di prigione. Solo il giorno precedente la sua vita era scandita dal rumore delle tazze contro le sbarre. Solo il giorno precedente aveva deciso che, una volta uscito, doveva innanzitutto frasi un goccio e brindare. E in un solo giorno gli erano capitate più cose che in tutto il suo recente passato. E' sorprendente di come anche le cose più semplici possano sfiancare se dimenticate dalle proprie abitudini. Sorprendente come rendersi conto che basta una volta per assuefarsi di nuovo alle vecchie abitudini, buone o cattive che siano. Il Selvaggio si era assuefatto di nuovo al vivere. Ma passare interminabili ore in quel locale fuori moda tra poltroncine di finta pelle era davvero vivere? Controllò l'ora. Sette e zero tre. Cristo, ancora! Sette e zero tre! Il tempo sembrava non passare mai.

"Il tempo sembra non passare mai, eh?". Una voce che non conosceva lo destò definitivamente dai suoi pensieri. "Devi essere davvero molto stanco," continuò con tono amichevole, quasi benevolo, quasi paterno "anche se alla fine non hai dormito così tanto. Anzi, sono sicuro che hai dormito molto meno di quanto tu creda. E poi su quelle potrone così scomode! Gli occhi tradiscono la tua stanchezza". Ma l'udito non tradiva. Il Selvaggio quella voce in realtà la conosceva, era la voce dell'Oste. E non dovette distogliere lo sguardo per intuire che l'Oste stava pulendo per terra: la scopa consunta e sfilacciata non riusciva a raschiare via tutto il lerciume che si era sedimentato. "Tu mi devi spiegare tante cose, Oste". Questi scrollò le spalle: "Beh, ogni tanto i clienti vengono e mi chiedono consigli, come se stare dall'altra parte del bancone mi permettesse di decidere non solo la dose del bicchiere ma la dose di felicità ed amarezza di ciascuno di loro...ma spiegazioni, questo mai!". Sembrava stesse recitando. O meglio ancora declamando, adagiando i versi delle frasi al volteggiare basso e per nulla leggiadro della scopa. "Ma se spiegazioni mi chiedi, almeno posso consigliarti su come riuscire ad ottenerle!" e concluse con un sorriso sornione, a trentadue denti. Irritante, esattamente come il resto. Stempiato, naso aquilino, orecchie a punta, collo lungo, qualche chilo di troppo ad inflaccidire una presenza carismatica quanto quella di un anonimo ragioniere. Decisamente non il tipico Oste che uno si aspetterebbe.

E poi le sue domande così antipatiche. "Com'è finita con Barbablù?".

"E' finita che sto ancora qui. Mentre non c'era nessuno di voi codardi". Il Selvaggio sembrava avercela col mondo intero. "Perchè te ne sei andato? Che ne sai di Barbablù? E perchè nessuno ieri ha reagito?".

Stavolta il sorriso sornione accompagnò l'inizio del discorso, non la sua conclusione. Forse nella mente dell'Oste quello doveva essere il classico sorriso che stempera i toni, ma non fece altro che infuocare il disprezzo che il suo interlocutore già nutriva ormai nei suoi confronti, e il Selvaggio si trattenne da spaccargli il viso con l'ingombrante posacenere del tavolino solo perchè gli interessava troppo una risposta alla sfida che aveva lanciato. "E chi volevi che ci fosse? Il locale era chiuso, anche se lascio sempre la porta aperta. I clienti che passano di qui sono tutti fidati, tutte persone che hanno imparato a tenere la bocca chiusa e gli istinti a freno, contrariamente a te. Evidentemente la galera non ti ha insegnato niente. E Barbablù è uno dei miei clienti più affezionati, passa spesso di notte e mi lascia sempre i soldi sul bancone. E passa sempre prima di salpare. E poi gli hai ferito uno dei suoi marinai...non è stato gentile da parte tua!".

Risposta plausibile. Forse. In ogni caso risposta insufficiente. Era il momento: doveva saltargli addosso e spaccargli quel dannato posacenere sul suo odioso muso. Il posacenere sembrava fatto apposta. Quel suo odioso muso sembrava fatto apposta. Doveva farlo, ma si trattenne una volta di più. "Che ne sai che sono stato in galera?".

L'Oste deluso abbassò lo sguardo, posò la scopa e prese da dietro al bancone una bottiglia di whiskey. Ne versò senza parsimonia il contenuto in un bicchiere e lo porse al Selvaggio. Quest'ultimo accettò tacitamente la generosa offerta, rapito dalla confidenza e dal rispetto con il quale l'altro maneggiava la bottiglia dalla struttura contorta e affusolata: non potè non fare un paragone, ricordarsi di quando stava dentro, di quando quegli aguzzini versavano con non curanza la brodaglia nelle tazze, facendola anche cadere a terra, trattando come semplice sputo quello che per lui rappresentava sputo e sostentamento. Quindi l'Oste afferrò di nuovo la sua compagna scopa e ci si appoggiò sopra con entrambe le mani, posando il mento sulla sua estremità di legno, come fanno i vecchi con il proprio bastone. "Non sei di queste parti, evidentemente, ma ti facevo ugualmente più sveglio". Il Selvaggio fece il primo sorso. "O almeno dovresti considerare più svegli quelli attorno a te". Secondo sorso. "Non hai visto il tuo giubbotto di pelle?". Il bicchiere per un attimo tentennò, poi si riavvicinò alle labbra. "E' sporco, impolverato...". Come il locale, pensò, e giù con il quarto sorso. "...ed è rosso come i tuoi capelli". Il Selvaggio fece fatica a deglutire e l'Oste se ne accorse. "Prima di liberarti da queste parti ti tingono sempre i capelli di rosso e ti vestono di rosso. O bordeaux, se sono di buon umore. Ti marchiano con il fuoco, così tutti sanno quello che hai fatto. O almeno da dove vieni". Con il quinto sorso il Selvaggio buttò giù anche quell'indigesta notizia. Per poi commentare con un energico: "Assurdo!".

"Guardati allo specchio, se non mi credi" e con un ampio gesto l'Oste indicò un pezzo di vetro sporco accanto al tariffario.

Il Selvaggio allora si alzò e barcollando raggiunse l'obbiettivo. Gli girava la testa. Pulì con la manica del giubbotto il vetro e guardò il più attentamente possibile la sua immagine riflessa. Un riflesso scarlatto che circondava un viso pallido, ma la fioca luce di quell'angolo del locale donava al suo volto un colorito ancora più irreale, quasi verde. D'improvviso si sentì le forze venirgli meno. L'immagine adesso assumeva contorni eterei, ultraterreni, metafisici. La vista gli si stava appannando. L'ambiente circostante si era trasfigurato in un paesaggio flaccido, cadente; l'Oste si deformava in un mostro. Stava avendo una visione? Stava perdendo i sensi come sotto i colpi di un potente sonnifero? Il Selvaggio sprecò l'ultimo barlume di momentanea lucidità pensando che si sarebbe svegliato con un gran mal di testa e che prima ancora avrebbe avuto un brutto, bruttissimo incubo.

2 commenti:

falena ha detto...

lo so, lo so, in logorrea stavolta ho superato me stesso.
Ma si sa che quando uno torna a casa di notte è più ispirato!!!
E avvertitemi di eventuali errori di battitura o di senso logico che a quest'ora non escludo di poter perdere colpi anch'io...
EXPFI

falena ha detto...

sono riuscito a mettere la foto sul mio profilooooooooooo!!!
adesso comparirà accanto a questo commento, vero? vero? vero? vero?
PZXHUBQD