sabato 2 settembre 2006


L’effige (parte VII)

Il frastuono della contraerea di Tobruk. Allora doveva essere il 1940... La voci spasmodiche di una donna, di un uomo. "Applicategli del decotto di parietaria!" Che assurdità: nel '40 c'erano già i disinfettanti chimici, no? Era evidente che stesse sognando. Ancora il franstuono della contraerea di Tobruk, sempre più incalzante. Aprì gli occhi.

Una stanza enorme, oblunga; persiane semichiuse, l'ambiente spruzzato d'una luce marrone, grigia, blu. Un coro innaturale di lamenti. E' disteso su un letto. Un ospedale di guerra? Cerca il proprio corpo con lo sgaurdo: è ferito? Eh sì, altrimenti perché sarebbe lì? Ma dove è ferito? Scruta le proprie braccia, agita le gambe: funzionano. Non scorge su di sé alcunché di fuori posto, né sangue, né ingessature, e non avverte alcun dolore forte; solo un indolenzimento generalizzato. Rinfrancato si guarda attorno. Nel letto accanto al suo un uomo... sì... un uomo, un moro, senza braccia né gambe, mostruosamente insufficiente ad occupare lo spazio offerto da quel letto d'ospedale... Ha gli occhi bene aperti, l'uomo o quel che ne resta, fissa la persiana semichiusa, sembra concentrato su quello che sta accadendo fuori: non vuole perdersi un solo colpo di quelli sparati dalla contraerea di Tobruk. E' un fatto di catarsi. Un pensiero perverso sfiora la mente del Selvaggio: si immagina la bara di quell'uomo, il giorno del suo funerale. Se la immagina piccola e tozza. Magari non morirà tanto presto, sopravviverà così, mutilo degli arti, invecchierà... Il Selvaggio scuote energicamente la testa, vuole scacciare quel pensiero raccapricciante. Ma non può non immaginarsi l'omelia funebre dell'uomo, di quel che ne resta: era un uomo in gamba, dirà il prete, sempre pronto a darti una mano... Il Selvaggio scoppia in una fragorosissima risata, irrefrenabile. Lo diverte da morire la propria fantasia, la propria spietata fantasia. Il tronco d'uomo ruota lentamente la testa verso di lui, lo fissa negli occhi, lentamente muove la bocca, sembra voglia pronunciare una "u". No, si mette a fischiare: fi-fi-fi-fi... fi-fi-fi-fi... Emette suoni fortissimi, acuti, identici tra loro, più forti dei lamenti, più forti delle risa del Selvaggio, più forti della contraerea di Tobruk.

Il Selvaggio aprì gli occhi ancora una volta. La sua piccola stanza. Il suo cuscino, il suo letto di sempre. E ancora quel fischio. Era la sveglia, fortissima, insopportabile. La cercò a tastoni, le diede una sberla. Il suono si interruppe. Poi la degnò di uno sguardo: le 7.03. A lui piaceva così; il Selvaggio non amava le gerarchie, le quantità prestabilite, le convenzioni numeriche: a lui piaceva mettere la sveglia alle 7.03. S'alzò dal letto con la vaga sensazione d'aver sognato molto, troppo. Un sussulto interiore lo spinse ad affrettarsi verso il bagno, a cercare la propria immagine allo specchio: sulla testa neanche un capello, come sempre; barba folta da marinaio, naso aquilino. Sul petto quel marchio a fuoco: il teschio, effige orgogliosa del penitenziario di Eltersdorf, datata qualche giorno prima. Tutto sembrava essere a posto.

5 commenti:

Domhir Muñuti ha detto...

Capricci digitali mi impediscono di aggiungere una foto. Abbiate pazienza: ce l'ho. ZWHYVY

falena ha detto...

la aspettiamo tutti con ansia. te lo stavo per scrivere ma mi hai anticipato.
cmq non mi aspettavo che fossi così fulminato.
KAAIY

Domhir Muñuti ha detto...

Ho fatto alcune lievi modifiche. Per quanto riguarda la foto niente da fare, per ora.
HBUGS (h... bugs... mh, interessante)

Domhir Muñuti ha detto...

Fatto. MTSMF

Domhir Muñuti ha detto...

Attenzione, il Selvaggio non è tornato in cella ma a casa sua.
RLPJT