venerdì 29 settembre 2006


La stella che non c'è (e non ci sarà mai)

Il caso, si sa, ha il gusto del complotto; e così, la ricerca degli acquirenti di un altoforno difettoso spinge Vincenzo Buonavolontà sino in Cina, facendoci presagire un intrigo alla Angolo rosso.
Ce ne frega assai se questa centralina nuova, che andrebbe al posto di quella che non funge, alla fabbrica cinese ce l'avevano per davvero oppure no, prima che la portasse Vincenzo Buonavolontà. Alla fine il bello, se così si può dire, è proprio lì: non occorre stabilire se il tizio ha fatto un viaggio inutile con una zavorra d'acciaio in tasca oppure (vel) se gli operai cinesi non c'hanno capito niente (e domani, dopodomani al massimo scoppia tutto e qualcuno si fa male). Perché questo è un film sull'incomunicabilità, sugli il-limiti dell'interpretazione; e non c'è che una interpretazione possibile, limitata o sospesa, come volete voi, purché non univoca. Il paradosso è solo apparente.
Vincenzo è straniero tra gli stranieri; quel che conta è la reciprocità del gesto e del silenzio. Difficile identificarsi con un italiano come lui: troppo ingenuo. Non impossibile identificarsi con una ragazza cinese che parla l'italiano con quel pizzico d'esotismo che all'uopo corrobora i nostri (nostrani) prodotti.
Vincenzo non ha passato, non ha storia; direte: non ha profondità. Ma che significa? La profondità psicologica è una categoria sorpassata, ora al cinema c'è il sottile; lo spettatore più sprovveduto è in grado di inferire il viaggio senza vederlo, basterà che Castellitto si faccia la barba tra una scena e l'altra. Inferiamo pure che c'ha un passato disastrato, magari ha lasciato la moglie, magari ha rinnegato un figlio; lo inferiamo da quello che Vincenzo e la ragazza non si dicono. E ancora una volta l'intelligenza dell'opera sta nell'omissione.
Certo, il sospetto di stare assistendo ad un remake del film con Richard Gere ci attanaglia per metà del tempo; Castellitto però è bravo forte (peccato che gli abbiano messo in bocca battute talora indulgenti), e allora tutto ha un sapore diverso, diciamo europeo.
L'omissione del viaggio d'andata garantisce meglio la resa di certe distanze cinesi. Sì, ma perché la Cina? Perché la Cina è attuale, è probante. Però è meglio pensare che essa sia in fondo un valido pretesto per spazializzare massimamente una storia di non amore e non comunicazione, altrimenti tutto l'impianto somiglia ad un'invalido pretesto per farci vedere la Cina; e poi, anche qui, le due possibilità sono intercambiabili, ovvero (vel) convivono. Ma insomma il film mi è piaciuto o no? Non l'ho capito... Di sicuro una stella gli manca.

1 commento:

Domhir Muñuti ha detto...

A mio modesto parere un film intelligente ma non quello di cui avevo bisogno.
Un insonne avrebbe passato la notte in cucina a fissare il lampadario..
Sempre collegatti!!!