domenica 3 settembre 2006


LA BARBA FINTA (Parte VIII)
Tutto sembrava essere a posto. Allora si guardò intorno alla ricerca del proprio tabacco. Lo trovò sparso a metà disordinatamente sul tavolino di fronte al letto. Si girò una sigaretta. Rimase a rimirarla, compiaciuto del proprio lavoro. Quindi prese l'accendino e la accese. La sua piccola stanza, il suo cuscino, il suo letto di sempre. Forse. O forse no. C'era qualcosa che non andava, che non lo convinceva, una strana sensazione. In fin dei conti era uscito da poco dal carcere. Il suo letto "di sempre" nella "sua piccola stanza" era ormai diventato la brandina sporca, scomoda e con le molle rotte di quella piccola cella poco illuminata. Non volle indugiare sui particolari ancora così vividi nella sua mente: stava mentendo a se stesso, quella stanza non era sua, e una volta resosi conto di questo si sforzò, si sbrigò a cambiare il suo pensiero. Controllò ancora la sveglia. E per quanto il suo sguardo dubbioso la interrogasse, la risposta muta e lampeggiante era sempre la stessa: 7 e 03. Non era possibile. Doveva essere passato almeno qualche minuto. Ma non l'aveva messa lui la sveglia a quell'ora? Si, l'aveva messa lui perchè non gli piacevano le gerarchie, vero? Perchè non gli piacevano le quantità prestabilite, no? Perchè odiava le convenzioni numeriche...era così, era così. Eppure l'insistenza con la quale tutti questi dubbi bussavano alla porta del suo cervello non lo convinceva e la testa gli stava scoppiando. La prima domanda che doveva soddisfare riguardava sempre il dove fosse.
Alla ricerca di un indizio convincente, si avvicinò alla finestra, scostò le tendine leggermente. E quello che vide al di fuori lo lasciò senza parole. Vide il mare. Una distesa infinita di mare, un mare brillante, limpido, freddo, inespressivo. Era ancora sull'Isola, su Bonholm. L'Isola della prigione, il crocevia di tanti traffici commerciali ma per lui soprattutto l'Isola della prigione nella quale era stato rinchiuso. In lontananza si riconosceva una nave. Un vascello di altri tempi. Maestoso con i suoi vessilli rosso sangue che si agitavano al soffio del vento. Sullo sfondo un meraviglioso lucente tramonto. Era la nave di Barbablù partita poche ore prima. Lo sapeva. Ne era sicuro.Allora corse a sciaquarsi il viso con entrambe le mani.
Energicamente. Quasi a cancellare quanto aveva appena visto. Non ci riuscì. In compenso successe una cosa che non si sarebbe mai aspettato. Infatti, l'acqua scollò via la folta barba dal suo mento e dal suo collo. Era finta! Attaccata a quella vera, quella trascurata di chi da un po' non perde tempo in rasoi e cose simili. Che brutto scherzo incollargli quella barba finta, "che stronzata" pensò. Era una cosa completamente irrazionale. Non aveva alcun senso, non aveva alcun motivo. Evidentemente era stato l'Oste, forse aiutato da qualcuno, e così gli avevano anche rasato i capelli rossi, il secondo regalo dei carcerieri insieme a quel marchio a fuoco sul petto. Terminò l'opera di pulirsi il viso il più accuratamente possibile, quindi indossò le prime cose che trovò in giro e inforcò la porta, risoluto nell'intento di tornare al cafè, per l'ennesima volta indeciso se ricercare spiegazioni o vendetta.
Non gli ci volle molto. Attraversato a lunghe falcate il pianerottolo di legno, scese per la scala a chiocciola e si trovò immediatamente all'interno del locale al piano terreno. La scala era stata costruita apposta per ingannare la prospettiva degli avventori del locale. Coloro che si fossero trovati in quel momento all'estremità opposta del bancone, avrebbero visto, con sommo stupore, il Selvaggio sbucare fuori dal muro, invece che da dietro un angolo: un effetto sorprendente dovuto anche alla carta da parati psichedelica, che sembrava avvolgere i muri senza soluzione di continuità e ingannava anche gli sguardi attenti.
L'orologio a muro segnava le 7 e 03. Ma il Selvaggio non ci fece caso: era un'ossessione che ormai gli era fin troppo familiare. Si sedette e guardò fisso l'Oste, che ancora non si era tolto quel suo sorriso sornione. "Sia ben chiaro, quella della barba finta non è stata un'idea mia...è stato Barbablù che mi ha pagato per farti questo scherzetto, ma non ho avuto il tempo di dipingerla di azzurro, stavo aprendo il locale". Esordì con la solita loquacità e continuò: "In fin dei conti è un burlone, ma non sarà contento del fatto che non ho finito l'opera che mi aveva commissionato...non voleva che ti scordassi di lui tanto facilmente...". Si lasciò scappare un ghigno di derisione, ma per sua fortuna il Selvaggio non se ne accorse: "Spero che invece tu abbia apprezzato il taglio di capelli, almeno così nessuno capirà a prima vista che sei uscito da Eltersdorf".
"Fanculo, Oste." Fu la risposta più sincera che il Selvaggio riuscì a formulare dopo quella spiegazione troppo facile eppur così convincente. Si stava infervorando ed il tono della voce gradualmente diventò più aggressivo: "Non sto fuori per fare la marionetta a qualcun altro. Decido io come tagliarmi i capelli. Nessuno deve toccarmi!". Si guardò attorno. Poteva continuare a parlare senza temere di essere ascoltato. Quindi insinuò quasi bisbigliando: "E hai drogato il whiskey solo per farmi questo scherzetto?".
"E pensi che ti avrei ospitato in una delle stanze di sopra se fossi stato io? Già che c'ero ti avrei fatto scaricare in un vicolo o ti avrei legato o ti avrei fatto rinchiudere di nuovo". Un brivido corse uslla schiena del Selvaggio. L'Oste aveva ragione, non era stato lui, non era stato il suo whiskey, la cosa non tornava e se c'era qualcosa che non andava era dentro di lui. "Ho chiamato anche un dottore. Non è una buona pubblicità che qualcuno svenga nel mio locale. Mi ha dato una mano lui a farti quel taglio all'ultima moda. Dovrebbe tornare per controllarti. Se ci tieni alla tua pellaccia ti conviene accettare la mia ospitalità e aspettarlo".
Il Selvaggio inizialmente non fiatò, mostrando evidenti segni di insofferenza alle parole del proprio interlocutore. Aveva un formicolio alle dita, quello tipico di chi vuole menare le mani, ma si era ripromesso anche avrebbe cercato di ignorarlo: "Ho fame. Dammi qualcosa da mangiare".
L'Oste sorrise nuovamente, sapendo che non avrebbe potuto ottenere dal Selvaggio un "si" più esplicito di quello.

4 commenti:

falena ha detto...

scusate, non mi posta l'immagine per adesso. Ci riprovo.
PHPOR
P.S.: adesso voglio proprio vedere come fa higuerra senza ricorrere all'onirico, a Tobruk, a "e johnny prese il fucile", ecc. ecc.

Domhir Muñuti ha detto...

Ben scritto come sempre, caro
Falena.. ma la storia fa acqua da tutte le parti. E non è colpa mia. Rileggi la mia parte e poi la tua, te ne renderai conto. Io dicevo che quella era la sua stanza.. e che era lui ad aver messo la sveglia.. i conti non tornano. BJDMRBSB

falena ha detto...

si lo so, me ne ero accorto, c'è qualche falla. ma non è una tubatura rotta è un rubinetto che gocciola. mi ero ripromesso di smussare le dissonanze, ma poi mi sono perso nel tentativo (ancora vano) di postare una immagine. rimedierò quanto prima. MYOHXSWG
P.S.: in ogni caso della sveglia ne ho parlato (liquidandola come "una ossessione alla quale ormai aveva fatto abitudine") e per quanto riguarda la stanza, non si capiva dal tuo post che fosse la sua personale, l'hai dovuto aggiungere nel commento, quindi...

Domhir Muñuti ha detto...

Ho scritto "La sua piccola stanza. Il suo cuscino, il suo letto di sempre"... mi dispiace ma l'ho scritto... più chiaro di così... conto sulle tue capacità di recupero.