venerdì 6 febbraio 2009



non è il caso di rifletterci troppo.
café absurd tira giù la saracinesca.

in questi anni ho visto chiudere altre botteghe, qui intorno. almeno un paio.
non so esattamente cosa abbia spinto quei miei colleghi ad annichilire in un colpo anni interi di memorie, riflessioni, confessioni, consigli, guizzi creativi ed errori. (e gli errori poi, a mio avviso, sono uno tra gli aspetti più interessanti in un blog: gli errori di ortografia, di grammatica, di digitazione, i peccati di presunzione, i giudizi affrettati, le clamorose cadute in contraddizione. vado a spiegarmi meglio.) so però cosa spinge me a chiudere café absurd.

precisazione: io blocco il cancello ma non cancello il blog. il blog resterà qui dove si trova -fino a che il provider me lo consentirà- come un archivio, un museo, una mostra fotografica, un libro. e, come la gran parte dei libri, sarà un libro fermo, un libro che s'è evoluto sino a che qualcuno non ha deciso di metterci un punto. dopodiché ha smesso di evolversi, s'è fermato, s'è impaginato, stampato, eccetera. potrà evolvere nelle teste dei lettori e rilettori più avveduti, intelligenti e vivaci. chi vuole scavalcare il cancello può farlo.

la ragione della chiusura è che café absurd è diventato -in effetti- un libro, un libro di carta, con tanto di copertina.
e quel libro l'ho ricevuto in regalo, da una persona preziosa, la cui incredibile fantasiosa concretezza ha superato l'immaginazione poltrona del sottoscritto. mi sono riletto per l'ennesima volta. ma sulla carta le parole hanno uno spessore diverso. e gli errori, quelli sì che servono, quelli sì che ti danno la misura di quanto hai imparato e quanto invece non hai imparato e non imparerai mai.

arrivederci a tutti. il mio stupido ingegno andrà a far danni altrove. non vi dico dove, chi vorrà trovarmi saprà come fare.

vado a spiegarmi meglio

martedì 3 febbraio 2009


non ti è mai stato facile scrivere, e questo è un fatto. ma non stare sempre lì a farlo notare a tutti; non è sempre detto -come qualcuno vuol credere- che il miglior modo di nascondersi sia palesarsi.

chissà perché, poi, ti ingegni tanto a fare quello che non ti compete e non ti spetta. e aitor ibanez, una volta, t'ha detto: io e te siamo di quelli che vanno per la strada più lunga. sei così.
e -aggiungo io- diciamoci la verità: a te ti piace, essere così. ovvio, non è come a sedici anni, che la tua strada era diritta e indossavi abiti profondi, e scioglievi le lunghissime chiome tra due dita, e ogni tanto facevi ascoltare una tua canzone a qualcuno, e sul diario, perlopiù raso, come la tua faccia d'eunuco, facevi il verso a foscolo, ma sfogliare un libro ti rendeva nervoso. il punto è che certi nodi sono sopravvissuti al taglio dei capelli, ecco.
non è come a diciotto, che hai deciso di mettere tutto in questione, e dai nodi -e dalle corde- sei passato alle strette e alle bacchette. via tutto, via i capelli, via la diritta via.
si dice però che a chi venga amputato un arto rimanga la coscienza di averlo. e -aggiungo io- chi perde l'orientamento ha la nitida sensazione di starsi orientando secondo una legge diversa, secondo una bussola complessa, con tanti cardini quanti sono i punti dello spazio in ogni sua dimensione. va detto ad onor del vero che i capelli non sono un arto, ma questo non è che un vantaggio: i capelli ricresceranno, cosicché quei nodi sopravvissuti al taglio saranno finalmente sciolti.

dieci stoici scalciano un pallone sotto la pioggia battente. cinque contro, cinque contro. d'altronde ieri si diceva, con tale stelvio masone, che il mondo -ma questo era il parer mio-, il mondo, dicevo, non è fatto di forze contrapposte, ma di forze e basta. le quali talora, tutto al più, hanno semmai buon gioco sulle debolezze, e non cattivo gioco su altre forze.
il masone se n'è uscito allora con la "metachimica". e lì il mio libro mentale s'è chiuso.
dieci stoici scalciano un pallone sotto la pioggia battente, vorrei essere tra loro, ma senza correre e senza bagnarmi, senza cambiarmi d'abito e senza alzare il culo da questa sedia, e senza distrarre le dita dalla tastiera.

l'ho detto sempre, io, la tua era una strada dritta. ma chissà, magari se l'avessi imboccata saresti finito in culo al bosco, nel nero indistinto, nell'umore fracico, tra mille braccia brivide d'insetto. o avresti fatto la fine del lupo, spanzato dal primo bracconiere, con la scusa, o l'accusa, della bambina sparita. e invece sei andato un po' a cazzo di cane, sei uscito dai confini della favella, ti sei sperso per altri boschi, hai incontrato un tipo che smarriva molliche o sassi, due fratellini che facevano merenda in casa di streghe, una fanciulla che sonnecchiava tra le fronde verdi, una mela morsa accanto al cadavere di un'altra fanciulla che aveva tutta l'aria di essere solo svenuta.
qualche giorno fa hai ascoltato il discorso di un tipo, uno con la testa a posto e un conto in banca di un certo livello. e a un certo punto il tipo ha detto: i puntini li unisci dopo, non prima. i sassolini, hai voglia a smarrirli passo passo nella speranza di ritrovare la strada di casa. la strada di casa, comunque vada, sta davanti. capace che ti tocca fare il giro del mondo, per tornarci. ma ovunque ti trovi, di casa ti resta l'odore e la memoria. e allora in vita tua ti accadrà talora di riconoscere casa in un colpo di vento, in un angolo di strada, in un falafel, in un tramonto, in un biglietto aereo, in uno sguardo, in un temporale, in un libro di kipling, in un quotidiano di ieri, in un paio di scarpe nuove, in un paio di scarpe vecchie, in uno strumento musicale, in uno specchio, in una voce, in un sogno, in un brano di musica contemporanea (questo è raro).

e a te sembrerà di aver sempre saputo come sarebbero andate le cose. al di là delle paure, delle speranze, degli imprevisti, dei tentativi, delle velleità, delle viltà. hai sempre saputo che il sogno, l'arte e la vita sono tre persone che abitano la stessa casa e non si incontrano mai.