martedì 22 luglio 2008


ho scoperto che quel film l'hanno già fatto. vedi cosa succede a pensare e non agire? ci hanno già pensato, a fare un film intitolato La notte prima degli esanimi. Un documentario sul b-movie, forse, non so. Non mi interessa. L'idea è tutta nel titolo, per quanto mi riguarda. Io, un titolo così, l'avrei usato per una parodia del film di Romero. Anche se non ho mai finito di vederlo.
Ad ogni modo è ora di imbracciare di nuovo la mia vecchia mini dv e girare qualcosa.

Anche perché ci siamo, è la notte prima del mio ultimo esame universitario.
Perdonate la reiterazione del tema, dunque.
Ecco, vedete? Sono già diventato più responsabile, ho ricominciato a scrivere le maiuscole dopo il punto. Ho perso il vezzo brizziano, sono già un po' meno tardo-adolescenziale.

A dispetto del titolo, qui non si prova alcun terrore. C'è un vago lezzo di attesa e mi sento complice al tempo, vorrei abbracciarlo come un fratello ritrovato e invitarlo a bere qualcosa insieme. Il programma per metà mi scivola via anzitempo dalle meningi, non esauste ma ironicamente appagate. Pensa, mi dico, pensa se poi l'ultimo esame non lo passo.
Certo, non sarebbe simpatico, il fatto. Ma non mi interessa più nulla, ed è quello che mi accade sempre quando mi siedo dinanzi al professore, che il più delle volte è l'assistente. Mi accade che non mi interessa più nulla di come va e come non va, di quello che so e non so, siamo lì io e quel tipo, e io devo raccontargli qualcosa.
E non posso fare a meno di pensare ogni volta, che questo sia un fatto ridicolo. Ogni volta mi viene la tentazione di montare sulla sedia in piedi come un bambino che recita la poesia di Natale, ma con un'aria ben più esasperata, sbracciandomi, e dire: 

ma è mai possibile? io capirei se si trattasse di istruire lei, e tutti voi, su qualcosa che non sapete. ma se invece il mio ruolo, ora, è raccontare a uno sconosciuto qualcosa che sia io, sia lui, sappiamo -chi più, chi meno, beh, è un bel ruolo di merda, poco affascinante, e francamente ridicolo. ogni volta così, questa farsa, le gesta meccaniche, uff!

Ma poi ci penso e mi dico che in fondo non c'è niente di male. Ad oggi la situazione stressante è l'unico mezzo attraverso il quale, nella nostra galassia, gli esseri viventi sono capaci di evolversi.
Scendo dalla sedia. Mi rimetto al mio posto, incomincio: dunque...

Non so se avrò genio di scrivere nei prossimi giorni.
Ma di sicuro prima o poi si saprà com'è andata a finire.
l'angolo di higuerra

non piango le notti in albergo, quando ad esempio dimenticavo gli occhiali a casa ed erano cazzi amari, a passare la notte con le lenti a stretto contatto con gli occhi, tutta una notte, davanti al pc, o dietro al pc dal punto di vista dei rari avventori, che talora erano persino rapinatori.
per non parlare di dormire sulla branda, che oltre ad essere scientemente concepita per provocare seri problemi posturali agli utenti, conciliava il sonno poco e niente. e con le lenti, poi, se disgraziatamente ti assalta il ghiribizzo di farti un sonno, ti svegli con gli occhi di vetro come un gufo impagliato.

ma mi rimprovero di scrivere sempre in modo dissennato e cattivo, inutile, lontano da un obiettivo qualsiasi, e non si tratta nemmeno di arrendersi allo stile, il quale non solo non mi riguarda, ma se mi riguardasse sarei spacciato, perché nel modo in cui scrivo di stile ce n'è poco, e c'è forse solo un'esigenza pazzesca di rifiutare le parole che si accumulano in un bolo informe e non digesto, come nella pancia del gatto a forza di pulirsi il manto con la lingua. che abitudine schifosa. io se mi ritrovo un capello nella pasta non mangio più non solo il contenuto del piatto, ma nemmeno quel formato di pasta e quel genere di condimento per i successivi sette otto mesi. capito?

ora accade che sto preparando, o meglio impreparando, l'ultimo esame della mia carriera. mi viene da ridere per due motivi: il primo è camuffare il pianto, il secondo è leggere che un fottio di mesi fa, ben più di un anno, ero alle prese con problemi analoghi di tesi insolute e carriere universitarie interminabili.

c'è chi mi consola dicendo che in tutti questi anni ho comunque vissuto, ho fatto cose, ho viaggiato, ho visto gente.

certo, va bene. tutto sta nello stabilire, una volta per tutte, che cosa conta per te nella vita, e cosa invece non conta. e al di là del fatto che chi lo capisce è in gamba, c'è da dire che siamo in molti a non avere il tempo di porci siffatta domanda, perché da un giorno all'altro ci si impone l'urgenza, per dirne una, di lavorare.

vado a dormire, non mai perché merito il riposo, ma perché sono stanco di dire cazzate.

domenica 20 luglio 2008


smarrire il vizio del fumo non ti fa automaticamente guadagnare tempo.
almeno non immediatamente. ma può portarti a farlo. a guadagnare tempo, intendo.
perché -quando non fumi- prima o poi devi trovare qualcosa da fare in quei momenti che -quando fumavi- sacrificavi al fumo.
accade che bevi un caffè. e poi? e poi niente, una specie di vuoto mentale, un fermo immagine. la voglia di un altro caffè. prendi un altro caffè. e poi? e poi basta.
puoi fare tre passi sul posto, riflettere, sonnecchiare, ammesso che ti riesca di sonnecchiare dopo due caffè. puoi fare quello che ti pare, ma quel vuoto lì non puoi colmarlo, ed è questo il bello: impari che quel vuoto non deve esistere. che in sostanza non esiste.
la pausa (ops, stavo per scrivere "paura") non ha più ragione di essere. e (infatti) se svanisce la pausa svanisce anche la paura. la paura di restare senza una sigaretta in bocca, senza quell'amara specie di pisello da succhiare. la paura di restare senza un fido compagno di nulla tra le dita. ma non solo. la paura di non sapere cosa fare quando finisci di fare qualcosa.
e allora arriva un giorno, si spera, in cui dopo la pausa pranzo, la pausa caffè, la pausa pausa, arriva la pausa niente. e la pausa niente è difficile contemplarla. è un qualcosa che ti pesa e che non puoi tollerare, che devi sopportare e non puoi sopportare.
sì, perché giorni fa una persona mi ha detto che se devi sopportare qualcosa, significa che quel qualcosa è insopportabile. non ci avevo mai pensato, e mi sembra una considerazione molto lucida.

la pausa niente è insopportabile. la pausa niente mi costringe ad alzarmi, a fare qualcosa, a farmi una doccia, a prendermi tutte le pause possibili. ma tanto non si sfugge. prima o poi, se non fumi più, ti si impone la pausa niente.
e io allora scrivo un post.
tu invece preferisci fumare, e per quanto la cosa mi faccia francamente ribrezzo, io ti capisco.

mercoledì 9 luglio 2008


giusto due righe. mi chiedo cosa mi spingesse a scrivere tanto, un tempo. sarebbe più onesto chiedersi per quale ragione ora non scrivo quasi più.
che cosa mai m'abbia tolto la voglia di fissare le mie stronzate su un supporto qualsiasi.
una risposta non me la do, e non mi interessa averla.
se apro la finestra per meno di metà, arrivo già a scorgere il cielo oltre il tetto dei palazzi che dirimpettano stanchissimamente la camera rossa. sono orgoglioso di un patio tanto decrepito e scrostato. mi è sempre piaciuto il fatto che le saracinesche bleuette che vedo da qui abbiano il colore del cielo al crepuscolo; così, quando il sole è calato, pare che il palazzo di fronte al posto di tante finestre chiuse abbia invece dei buchi geometricamente organizzati per guardare attraverso la facciata. e se quello che si vede oltre è il cielo del crepuscolo, allora il palazzo di fronte è persino monodimensionale. l'illusione è dove le finestre sono aperte e quello che scorgi sono le interiora delle case, con la gente in mutande che sa di essere vista, come i personaggi della tv. è per questo che non ci credo. credo solo a quello che vedo al crepuscolo, quando la luce inizia a scarseggiare e sei costretto a lavorare di fantasia. quando il sonno è un dilemma lontano. quando la gente in mutande è rischiarata dalle lampade di casa.
allora ti viene il sospetto che si tratti di andare a vedere cosa c'è dietro quella facciata di palazzo. se c'è davvero solo cielo e crepuscolo.
vado.
vado a vedere se trovo qualcosa che mi obblighi a scrivere ancora.

mercoledì 2 luglio 2008


va a spiegare alle zanzare che il mio sangue non è dolce.
mi circola in circolo troppa troppa nicotina.
però c'è un momento in cui insceni un qualcosa, e quel qualcosa, per il fatto stesso d'esser stato inscenato, esiste.
insceni di aver smesso di fumare, e il rituale da sé vale aver smesso, salvo ricominciare.
quando sono entrato in casa -dopo aver buttato al secchio per autoprotesta un pacchetto nuovo nuovo di drum giallo - sulla mensola all'ingresso c'era un pacchetto di marlboro. non era mio, ma di mio fratello. che da poco ha incredibilmente ricominciato. marlboro rosse da dieci. 
mi assale un istinto cleptomane. non è certo per sdegno della cleptomania o del rubare che evito di rubare una sigaretta dal pacchetto. ho smesso, e finché dura fa verdura.
però questa cosa, il fatto che mio fratello abbia incredibilmente ricominciato, mi suggerisce subito una cosa.
e cioè che il demone lo puoi cacciare se fa troppo chiasso e hai bisogno di un po' di silenzio per studiare, per leggere, per lavorare, per concentrarti. ma prima o dopo il demone torna, e assume le sembianze che crede.
e tu sai quanto me che il demone ti piace, perché sa farti compagnia come nessuno. perché è l'unica cosa che sappia nutrirsi della tua solitudine e ridartela indietro sotto forma di profumate veci di autostima.
e non è le sigarette, né il caffè, né la birra - il demone.
è il demone di quando vuoi vedere le cose in un altro modo. uno può smettere di fumare anche per sempre, volesse il cielo. ma il demone resta e in qualche modo prima o poi si manifesta.
ma il demone resta, e in qualche modo prima o poi si manifesta.
ma il demone resta, e in qualche modo prima o poi si manifesta.