giovedì 29 maggio 2008


Ad alcuni il caffè piace freddo, personalmente trovo la cosa decisamente disgustosa. Il caffè è gradevole se servito fumante, ben zuccherato e seguito dalla fragranza di una sigaretta. Visto che oramai abitiamo attaccati, se riuscissi a dirmi quando passi potrei farti trovare un buon caffè bollente in quattro e quattr' otto, caro higuerra.

Ti abbraccio e mi sbraccio, a priest!

p. s. : a proposito, sapreste dirmi chi vincerebbe un duello pisello- a- pisello tra un nano ed un etiope?

martedì 27 maggio 2008

è che c'ho il vizio dell'avanguardia, mentre il mondo reclama penne potenti e sobrie, come Fenoglio, Hemingway, che so, Rossellini. Vorrei saper citare ragionevolmente qualche pittore, o magari un architetto. Ma esiste un'architettura realista?
Il realismo è la più narcisistica delle tendenze artistiche, ce lo dice il nome che porta. Il simbolismo, l'iperrealismo e tutti gli ismi storici ed eccellenti sono modesti perché ci parlano d'altro. Ma il realismo ha un autentico potenziale distruttivo, corrotto. Il realismo devia, scoraggia, inneggia al martirio, alla reticenza subdola, all'inganno puro. Non svela nulla perché si arroga la capacità di svelare. Svelare di che velo? E' lì il punto, il realismo insinua che ci sia un velo e che questo velo non va squartato. Devi guardarci attraverso.
Invece Fontana, poverino, taglia una tela; Dalì e Bunuel ci si mettono in due a squartare un occhio di gomma. Tapini. 
Rossellini, però, dice: io non squarto nulla. E dicendolo sa che noi pensiamo: ma come, non squarti tu forse il velo? Rossellini risponde: il velo c'è ma non va squartato; in quanto velo ti dà modo di guardarci attraverso.
L'artista onesto sa che il velo non c'è, e rinuncia all'arte. L'arte non è per gente onesta, perché da sempre colma gli occhi squartati e svuotati dei collezionisti e ne vuota le tasche piene. Perché da sempre è asservita ai potenti.
Ma sia chiaro che io non ho nulla contro i potenti. I potenti hanno l'onestà di portare avanti la legge del Cosmo: il cosmo è votato al disordine, un voto è dovere, un dovere è legge per sé e per ogni cosa che vi si opponga.
Non penso una sola parola di quelle che ho scritto.

sabato 24 maggio 2008

Nuovo post.
anche se le idee sono scarse. e se mai ne fiorisse qualcuna improvvisa, urgente, necessaria, inesorabilmente chiuderei questa finestra e rimanderei, ancora una volta, il mio nuovo post. e andrei a stendere un nuovo paragrafo della tesi. lo stenderei con un destro secco. ma non so dare i pugni, e mi farei un po' male alle nocche. è scritto nel mio ruolo, che io non sappia picchiare. forse imparerò a farlo verso la fine, come il padre di martin seamus mcfly in un film che tutti, per fortuna, abbiamo visto più d'una volta.
ma posso dire con una buona dose di certezza che questo non avverrà. cioè, l'idea urgente non si presenterà. ne ho la certezza.
anche se il mondo, mi hanno detto di recente, va per i fatti suoi. pare che assumere una simile consapevolezza abbia il potere di salvarci da certe nevrosi. in buona sostanza ci si può difendere dall'inesattezza del cosmo soltanto se la si accetta. ma non è inesatto il cosmo, mi hanno detto anche, è inesatto il nostro modo di incastrarci col cosmo. inesatto, poi, rispetto a quale esattezza? questo è ciò che scivola davvero. ecco il buco nero.
è lì che sorge l'esigenza di scegliersi con cura un'orbita. il buco nero c'è, e lo so. devo tenermene alla larga.
ma scusa, come si fa a non subirne il fascino magnetico? chi non desidera il rischio di finirne risucchiato? è la pulsione di morte, in cui degenera il principio di piacere.
il mondo va per i fatti suoi.
io so' io e voi non siete un cazzo, sintetizzava un altro noto personaggio del cinema.
ma è la premessa che è sbagliata: io so' io. eh no, questo non è vero.
io non sono in grado di fare un'affermazione tanto audace. io non sono io.
io è un altro? no, neanche. sarebbe fin troppo semplice.
e allora che?
allora tu sei tu. questo è già qualcosa. tu non sei me.
né mai lo sarai.
per qualcuno questa conclusione è fonte di comprensibile angoscia. per qualcun altro è, inspiegabilmente, la solida base di un ottimismo durevole.
non è difficile capire quale sia il mio pensiero al riguardo.
lo scacco dell'identità a volte ti piomba oltre lo specchio. e finisce che tu, accipicchia, diventi me. è così che il mio corpo si difende. e una volta trapassato il cristallo hai voglia a tentare di tornare indietro. è difficile, è difficile. ti scontri con la durezza della superficie. a piombare dall'altra parte non ci vuole niente; a tornare indietro, ah, è una parola.
ecco il punto di non ritorno.
ma prova che ti riprova la soluzione arriva, spontaneamente. craniata dopo craniata lo specchio si spezza, cade, si frantuma. e che fai, lasci i frammenti a terra? prendi una scopa e raccoglili, gettali via. se fai la raccolta differenziata avrai cura di farli recapitare al contenitore del vetro. altrimenti li imbuchi nella casella "per tutte le altre destinazioni"

giovedì 8 maggio 2008

grazie per il meme ma non intendo continuare la catena.
non credo di meritare alcun riconoscimento, il mio blog è fermo da un mese, non mi passa niente per la testa, il pubblico -salvo chi mi mema il meme- mi disconosce.
è che le settimane durano meno dei giorni, e i giorni meno delle ore. le ore, poi, sono rapidissime, quasi più rapide dei secondi, i quali, a ben guardare, vanno assai più lenti dei minuti.
come quando si aspetta l'ascensore. nove piani sono tanti; la legge della bestemmia vuole che l'ascensore sia sempre al nono, quando lo chiami da giù.
nono, meme. mamma, papà. pappa.

ultimamente mi si è posta in più occasioni questa domanda: ma tu che vuoi?
mi si è posta da sé, spontaneamente, e me l'hanno posta dal di fuori. io me la pongo quando, vagheggiando quale arcaica chiatta e felice tra budella di labirinto, mi ritrovo di volta in quando giusto di fronte ad una parete di marmo da tavola lustrata a specchio. Ma tu, che vuoi?
se la domanda me la fai tu rispondo col silenzio, guardandomi le scarpe. scarpe di marmo lustrate a specchio.
insomma alla fine l'esigenza è sempre quella di riconoscersi. riconoscersi in qualche cosa, poter dire: quella cosa lì sono io. non soltanto quando ci si ammira allo specchio o ci si guarda le scarpe. io sono anche la tesi su carmelo bene, nata stanca. ma si può essere qualsiasi cosa: un pallone, una bambola, un film, un animale della giungla, un lampadario, un disco, persino un'altra persona. o un gruppo di persone. se non si è in grado di riconoscersi ci si può sempre accontentare di essere riconosciuti.
fine del siparietto psicanalitico.
non credevo che questi biscotti fossero così buoni. li ho ignorati per tutta la vita, e invece sono buoni: che equilibrio, che consistenza! e col latte si comportano egregiamente.
questo era solo per riscaldarmi un po' le dita.