sabato 29 dicembre 2007

Come non bastasse arriva internet a rovinarci i luoghi comuni.

venerdì 28 dicembre 2007

I sogni erotici del numero 49

Diciamo che compro un biglietto, lo faccio; e parto, intorno al 2 Gennaio. Sto via qualche giorno e vado a Reggio Emilia.
No, il biglietto non l'ho preso e forse non lo prenderò. Dipende da come vanno a finire una serie di cose. Ma siccome la fantasia batte la realtà 99, 9 volte su cento, io combatto la fantasia con un'altra fantasia. Fantasia solitaria, perchè parto da solo e vado, se vado, a Reggio Emilia.
Diciamo pure che odio le mie radici. Me ne sbatto di DeFilippo, Totò, DeSimone, Troisi, Murolo e tanti altri. Mi piacerebbe rinascere emiliano figli di emiliani. Dialetto più gentile, altro clima e punto d'osservazione. Vacanze di Natale in famiglia vicino Reggio Emilia e non in un posto buco di culo vicino Napoli con vista sul Vesuvio.
Ma, diciamo pure: io a Reggio Emilia non ci sono mai stato. Non so proprio come sia fatta e non riesco neanche a immaginarmela.
Per questo (forse) vado.

M'immagino: una partita a carte, sempre la stessa tutti gli anni. Solo che quest'anno è venuta a mancare una carta. Non una carta qualsiasi ma una figura.
Ehi, ehi, ehi...qui c'è qualcosa che non va. Che fine ha fatto il nove di coppe?
Non c'è più.
Come non c'è più?
Non c'è più.
Allora non si può mica giocare!
Si gioca lo stesso.
E come si fa?
Si gioca lo stesso e si fa finta di niente.
C'è chi trova 10 euro nella tasca di un vecchio pantalone che non mette più.
Io sogno la ragazza della lavanderia che trova il mio nove di coppe nella manica della giacca che le ho dato da lavare. L'avevo nascosto così bene da non riuscire più a trovarlo. Forse è per questo che si dice i panni sporchi si dovrebbero lavare solo in famiglia.
Ma come si chiama questo gioco?
Non me lo ricordo più.
E quando finisce?

Un'idea della reincarnazione: un grande cesto, un pallottoliere che contiene tante anime, ciascuna contrassegnata dal proprio numero specifico, da 1 a 90. Qualcuno, una mano qualsiasi, scuote il cesto ed estrae attraverso una minuscola fessura, in maniera del tutto disordinata, senza alcun principio se non la più insensata casualità, un'anima alla volta.
Per rimediare allo scempio del suo atto che qualcuno trova pure divertente, dispone le anime, una alla volta su un enorme tabellone. Per ogni anima un posto e solo quello, al numero corrispondente e tutti i numeri sul tabellone sono messi in fila, uno affianco all'altro, divisi in orizzontale per decimali, in verticale lungo la linea del cinque. Ecco, l'illusione di un ordine cosmico e tu caro 49, è meglio che ti adatti perchè 49 sei e 49 resti e stai tra il 48 e il 50. In caso contrario la tua unica speranza è di non uscire, restare a dormire nel caos imperscrutabile e ingovernabile ma del tutto limitato del pallottoliere. Mentre magari qualcuno fuori aspetta proprio te per esultare il compimento della sua vittoria senza senso.
Poi una volta finito, la mano che ti ha estratto ti rimette nel cesto, pronto per un'eventuale nuova vita che illuminerà o meno un'inedita combinazione di eventi.
Ma ecco che la distrazione, la fretta o un raro gesto di insubordinazione delle cose inanimate ti libera dal tuo destino e tu finisci chissà dove. Sotto il mobile in legno, dietro il comodino schiacciato alla parete.
Che fine ha fatto il 49?
Non si trova più. Cerca ancora. Niente da fare.
Ed ecco che l'assenza di un solo numero, perduto per sempre?, fa saltare tutte le regole del gioco e mette in crisi un'intera cosmogonia tramandata da generazioni. Evvai!
49, ti amo.

Ho fatto un sogno erotico nel pomeriggio, a ridosso del pranzo che ho saltato. Forse per compensazione tra appetiti?
Non ricordo l'inizio, ma che importa? Ricordo abbastanza bene la fine!
C'è questa donna bassina, un po' tarchiata e pure bruttina ma con due seni enormi che non so chi sia. La faccio spogliare, ci finisco sopra e Ole! mi ci accanisco con una foga faticosa che non mi riconosco. Tanto esagerata che a un certo punto mi sveglio, come ogni volta che il sogno si sta facendo inverosimile, e mi ritrovo con la mia verosimile erezione, qualcosa che conosco bene e che tutto sommato mi ridimensiona. Perchè uno che si sveglia da un sogno così come minimo si aspetta di ritrovarsi all'improvviso qualcosa di mostruoso tra le gambe. Invece si ritrova il solito vecchio pisello che conosce bene, stretto dalla stoffa delle mutande, che rivendica la sua prossima liberazione con comunicati osceni e provocatori al mio cervello benpensante affaticato dormiente.
E tu lettore, ridi pure quanto ti pare, ma è una settimana che faccio sogni erotici a occhi chiusi, di solito così poco frequenti.
Il bello è che mi chiedo che ci azzecca col fatto che sono in ferie per Natale, lontano da casa e soprattutto lontano, fisicamente lontano, dagli oggetti delle contorsioni del mio desiderio; e col fatto che i sogni siano cominciati nel posto più lontano dal sesso che io conosca, cioè la casa dei miei nonni materni, dove si respira piuttosto l'odore di urina del catatere di mia nonna e, a livello morale, l'integralismo cattolico di mio nonno, indurito dagli anni; dove la limitatezza degli spazi rende impossibile la privacy, dove regna un'aria di morte o perlomeno di cose morte, di epoche passate, dove il Natale 2007 si sovrappone ad altri venti e ad altre estati, tanto che credo la casa non regga più il peso dei ricordi perchè anche una vasca da bagno o una tazza del cesso mi parla di qualcosa che è successo; dove non posso fare altro che cercare di tenere a bada l'ansia col cibo e coi libri e ritrovarmi triste, anestetizzato, appesantito, invecchiato.
C'è così poco di erotico in quel posto eppure mi addormento e sogno sogni erotici indefinibili, di quelli che scompaiono al risveglio.
Fino al sogno di oggi pomeriggio, quello con la tettona, molto più vivido.
Forse è perchè proprio oggi sono tornato a Roma, sono cioè tornato alla mia vita, alle mie abitudini, ho cioè ripreso possesso della parte autentica di me e il corpo a modo suo sussulta per la liberazione dell'anima.

venerdì 14 dicembre 2007

non si muove una paglia

martedì 11 dicembre 2007

in quel tempo, mi si perdoni il tono biblico, qualcuno mi diceva: sei disattento, oh, eh, concentrati, rispetta il prossimo, guarda che non ci sei soltanto tu qua in giro.
eh, ma io lo so, rispondevo.
ma io penso che il mio peggior difetto sia, rispondevo, che quando il prossimo non rispetta me non sto lì a farglielo notare a tutti i costi. e un altro difetto che ho, peggio del peggiore, è che quando chiudo un occhio vorrei che mi si ricambi la strizzata, capisci a me, capisco a te.
mannò, mi dicevano allora, mannò, devi essere onesto e dire a tempo debito quello che va e quello che non va, a tempo debito, né tutte le volte, né nemmeno mai.
fatto si è che gli uomini siano spesso assai vicini ai cani, nel modo che hanno di comportarsi. più alzi la voce e più ti leccano le mani, pensavo sotto sotto. ma non dicevo niente. perché anche io mi sentivo un cane, una specie di cane ignudo e ricco di una gravissima zavorra tutto in cima.
mi veniva da pensare anche che gli uomini, per l'appunto, fossero tutto il contrario d'una mongolfiera: di sotto cacciavano l'aria, di sopra ci avevano la zavorra. ed era come se mi sentissi di vivere un po' a testa in giù, quando pensavo questo. tutto il contrario di una mongolfiera, pensavo; eppure gli uomini sono tutti un po' mongolfieri, a pensarci bene. ero e sono mongolfiero anche io.
i giorni stramazzavano come galline al macello, e io stavo a fare il portiere in un albergo. da qualche parte affacciato ad una finestra, con la pipa tra i denti, c'era per forza qualcuno che invece di fare il guardiano in casa d'altri pensava a dove infilare la rivoluzione.
in quel momento, un qualsiasi momento, capii che quelli che fanno le rivoluzioni, in verità in verità, non è che vogliono cambiare il mondo: le fanno perché è bello farle. è bello come la festa di paese, ma in più c'è che puoi fare la pelle al sindaco, al parroco e al maresciallo dei carabinieri tutti e tre in un colpo, e proprio sulla piazza. e c'è ancora di più quell'odore di fuoco e di natale. e c'è anche che tutti, in questa grande festa, fanno finta di essere incazzati, chi per difendere qualcosa, chi per offendere. così come ci si accanisce, da bambini, quando si gioca a fare le guerre o i criminali, e il rumore delle bombe vorresti riuscire a farlo con la bocca.
poi quel tipo con la pipa richiudeva la finestra e si chinava sul pianoforte, per scrivere le ultime note dell'inno. ecco, pensavo, quello che manca alle rivoluzioni di oggi: la musica giusta.

lunedì 10 dicembre 2007

23 ... un buco!

giovedì 6 dicembre 2007


mercoledì 5 dicembre 2007

come non averci pensato prima? certo, l'operazione poteva essere preparata meglio, e invece di culo potevo utilizzare tette, figa, o cose molto, molto più spinte.
ma andiamoci piano, alla fine culo è ancora una parola suscettibile di innumerevoli, e non sempre volgari, interpretazioni e utilizzi. culo va bene. ho motivo di credere che stanotte mi faranno visita centinaia di nuovi possibili fan, traghettati da un qualche motore di ricerca. e vuoi che non ci siano 4 o 5 guardoni talmente guardoni che si mettono persino a leggere quello che scrivo? nella migliore delle ipotesi scoppia un caso letterario, ora che è anche rientrato il decreto imbavaglia-rete e ciascuno può continuare indisturbato a farsi i suoi monologhi.

martedì 4 dicembre 2007

johnny cash, a boy named sue.. sulle prime m'era sembrata addirittura the ghost song dei doors.

del giorno c'è solo l'ombra. tra un'ora o poco più potrei andare a letto. se potessi non andarci, non ci andrei. sarebbe bello poter ricominciare senza aver concluso, fare tutta una tirata. ma non resisterò alla tentazione di prendermi ciò che merito: la mia dose di riposo dopo un turno di lavoro. mah..

il lavoro, inizio a pensare, è sopravvalutato. pensa se ciascuno potesse essere pagato - per un anno, mettiamo - per assecondare la propria vocazione, ottenendo così l'opportunità controllata di trasformare tale vocazione in produttività. il fatto è che si deve produrre; non sarò io a dire che invece no, che è tutto sbagliato.

ricominciamo. il lavoro è sopravvalutato. ma il rischio di un pensierino simile è la vertigine nichilista; il lavoro è quasi sineddoche della vita, negando il lavoro finisci col negare tutto, persino l'isola deserta, l'uovo, atene, l'amore, la libertà, le cose buone da mangiare. vorrei sapere cosa intendesse john cage quando diceva: ma neanche bisogna aver paura di non lavorare. e stavolta, a quanto pare, a parlare di rivoluzione non era un figlio di papà tipo marx, parlava uno che s'era inventato davvero un modo di non lavorare: ecco forse il vero genio di cage; non gli andava neanche di scrivere la musica. concerti pieni di silenzio, partiture simili (o uguali) a scarabocchi. non dico che non credesse in quello che faceva: gli riusciva proprio perché ci credeva fino in fondo: non bisogna aver paura di non lavorare. ecco. ecco cos'è rubare il fuoco agli dei; con tutte le lacrime che si addensano in una nube di orgoglio pronta a tuonare sul sopruso.

ma attenzione, io non parlo di lotta sociale, per caritààààà: il grande sopruso è la convinzione diffusa che la vita interiore e quella esteriore siano destinate a non incontrarsi.
poco fa è entrato prometeo dalla porta dell'albergo. credevo di aver chiuso a chiave, anche perché al cambio di turno norbert mi aveva detto che un tipo era passato per di qua con l'intenzione di estorcere denaro dalle casse dell'albergo. prometeo ha detto questa frase:

io, t'assicuro, non cambierei la mia misera sorte con la tua servitù. Molto meglio lo star qui ligio a questa rupe io stimo, che fedel messaggero esser di Giove.

e infatti tutt'ad un tratto non stavo più in albergo, ma sulla rupe con prometeo.
gli faccio: prometeo, io vado a dormire.

come se dormire fosse un posto dove andare.