martedì 29 maggio 2007



Non è detto.

Piòtr - Cosa, non è detto?

Beluga - Tante cose non sono dette

P - Tante cose sono non dette, vorrai dire

B - E' uguale

P - No, è diverso. per essere uguale, come mimino, dovrebbe essere identico. Come minimo

B - Allora è diverso; e infatti io volevo dire che non è detto, non che è non detto. Non è detto vuol dire che non è fatto

P - No, per dire che non è fatto diresti: non è fatto. Invece dici: non è detto

B - E' uguale

P - No, non lo è. Ma comunque, cosa non è detto?

B - Non è detta l'ultima

P - Ah no? E come fai a dirlo? Come fai a dire che non è detta, se non è stata detta? Se non è detta nessuno la sa. Se nessuno la sa non esiste. L'ultima è stata detta, ed è quella che sai, quella che esiste. Quella che è fatta

B - Allora sai che ti dico? Mi hai convinto. Tutto è detto, quel che è detto e fatto. Ma tante cose sono non dette

P - Ecco, lo vedi, lo vedi che vieni al mio discorso?

B - Sì. A me sempre questo è, quello che mi fa stare un po' così. Le cose non dette. Che non sono mai delle cose precise, sono delle ombre

P - Sono delle pure possibilità. Vale la pena?

B - Cosa?

P - Pensare al possibilie quando c'è il detto, il fatto

B - Non so. Ma tutti ci pensano. Si chiama il senno di poi. Ne son piene le fosse

P - Sì, così dicono. E' un detto. Ma ti dirò di più: ne son piene le teste

B - Certo, si sa

P - Non tanto, non si sa, non si sa bene. Sai che ti dico? Ci ho ripensato completamente. Le cose non dette esistono eccome

B - E come? Dove?

P - Nelle teste, t'ho detto. E si accumulano, fanno tappo. Sono la materia prima della follia

B - Bravo, mi piace. E' già tanto riuscire a dire questo, prima di salutarci

P - No, perché ora io e te ci stringiamo la mano, voltiamo l'angolo, ciascuno volta l'angolo suo. E in quel momento vedrai che ciascuno di noi due capisce che c'è qualcosa di sospeso, un'ombra, qualcosa che esiste, una cosa non detta, tante cose non dette

B - E questo ci farà venire voglia di vederci e parlare ancora. E basterà fare così: parlare ancora. Non è così?

P - No, non basterà, perché ogni volta sarà uguale. Ogni volta un'ombra che esiste. Fino alla fossa

B - Ci dev'essere un'altra possiblità, Piòtr

P - Non pensarci

B - E' questa la possibilità? Non pensarci?

P - Non pensarci

E ci stringiamo la mano, e io vado, e Piòtr va, ciascuno dietro all'angolo suo. E io non ci penso, cammino e non ci penso. Arrivo a casa e non ci penso. Scrivo questo post e non ci penso.

venerdì 25 maggio 2007

Una volta mi chiesero:"Sei Narciso o Boccadoro?". Ipotizzai una via di mezzo...Una via di mezzo, mi dissero, non c'è. O sei Narciso o sei Boccadoro. O sei qualcosa che non è una via di mezzo, ma è tutt'altro.

L'aceto balsamico sulle fragole ci sta da paura, anni fa non l'avrei mai detto.

Mettere lo zucchero nel caffè è una delle cose più stupide del mondo. Riverso in bocca fluido amaro al mattino per dare una scossa, uno stordimento e nausea e schifo e prezioso aroma alla lingua assonnata, alle papille addormentate e recettive, alla mia folla stanca di neuroni stanchi alla base del cervelletto. Lo zucchero nel caffè è una scureggia nell'ascensore. Attendi il tuo turno, e godi del dolce della salita per soffocare nell'amaro del peto del vicino di casa o del signore in pantofole e canottiera del piano di sopra. Tanto vale affrontare le scale.
Questo perché non sempre lo zucchero ce lo metti di tua volontà nel caffè...a volte è strettamente necessario, quando è bruciato, quando è troppo forte...a volte è una casualità inaspettata, quando te lo offrono e sei a casa di qualcuno, quando c'è l'abitudine di zuccherare direttamente nella macchinetta, quando vai dal Mago del Caffè sulla Palmiro Togliatti e ti riempe la tazzina di quella crema speciale. Ma...quante volte la delizia della crema surclassando l'esoterico gusto del caffè puro c'ha dato gioie e piaceri e colpetti di lingua sulle labbra appiccicose? Eh sì, l'aceto balsamico sulle fragole ci sta proprio da paura.
A volte val la pena l'apnea di 8 rapidi piani che il fiatone di 320 gradini sudati. Ci sono sempre dei pro e dei contro nell'assoluto dell'amaro e nel denso del dolce a anche nel malinconico dell'agrodolce.
Se sali lentamente da certe rampe di scale puoi incontrare delle finestre o lucernari e scoprirti man mano sempre più vicini al cielo e al sole. A volte val la pena soffrire il fiato corto e toccare le nuvole.
Ora puoi ancora scegliere, perché la vita non è un test a crocette, non ci fermiamo al verofalso. Hai sfiorato con un dito le nuvole. Hai preso un'altro solito. Hai aperto le ali e voli. Qual'è il tuo istinto primordiale? Ci si salva sempre nella follia? Sei Dedalo o Icaro?

Vorrei chiedere in parte perdono per tutte queste mie divagazioni assurde, ma non conosco un posto migliore del Café Absurd per dar libero sfogo a ragionamenti contorti e intrecciati e insensati come i miei. Non arrovellatevi a cercare un filo logico. Non c'è. Questo spreco o investimento di parole è una risposta a quanto scritto sopra, o sotto nella logica inversa di un blog.

Un brindisi lo farei con te Higuerra ad un treno qualunque, a quelli persi, a quelli lasciati andare e a quelli che non sono mai arrivati alla stazione. A quelli che si prendono al volo, a quelli che si prendono per sbaglio, a quelli che si perdono per sbaglio.
"Il solito, triplo grazie! Si, per tutti e due."


Camminavamo per le strade di Parigi, forse verso la stazione di Bercy, dove un treno ci attendeva o dove noi avremmo atteso un treno. La fretta ci preoccupava meno del solito.
E quindi ordinammo il solito, in un bel bar berbero dalle parti della Cinémathèque, se ce n'è uno.

- Ce n'è più d'uno, aveva detto Piòtr, ma non abbiamo il tempo per vederceli tutti; scegliamo quello lì, mi sembra un po' più berbero degli altri.
- Non ne sono certo, avevo risposto io, ma se proprio insisti, cedo.

Il solito raddoppiò, e con esso raddoppiò quel che vedevano i nostri occhi, i miei e quelli di Piòtr. Quattro zingare ci lessero otto mani, sì, ci lasciammo prendere la mano, e per di più ci lasciammo prendere per turchi, e non saprei se fosse il caso, dal momento che ci trovavamo in un bel bar berbero.
Io, in preda all'ubriachezza, o l'ubriachezza in mia preda, o entrambi, in coro, recitammo il seguente soliloquio:

- Vorrei parlare di piccole esplosioni e big bang, e di quanto breve possa essere il tempo che intercorre tra un big bang e l'altro. Di quanto sia superfluo inventarsi degli spartiacque laddove esiste la provvidenza e di quanto sia imprudente - per contro - lasciare che siano gli altri a provvedere per te. Di quanto sia bello, in fondo, credere nell'invisibile e non credere all'evidenza.
Di quanto sia dolce a volte l'amarezza - chi non lo sa? - e di quanto sia buffo correggerla a colpi di saliera. Di quanto sia stupido mettere lo zucchero nel caffè e non mettere invece l'inchiostro sulle fragole.
Di come certi viaggi o certe serate inizino così così per poi rivelarsi magici, finché l'incantesimo non si arrende alla ragione, o finché la buona ragione non cede il passo ad una carenza di istinti primordiali, proiettando eventi ed esistenti nella catastrofe.

- Tu devi essere pazzo! - mi dice Piòtr
- Certo che devo. Ci si salva sempre nella follia. Mentre a tentare di salvare la testa si rischia di smarrire il resto del corpo.

Perdemmo il treno, e malgrado fosse un treno bello grosso, oh, ancora lo stiamo cercando.

giovedì 24 maggio 2007

Muoversi rapidi è un buon sistema per sorprendere e restare sorpresi.
Ad Ostia è esplosa l'estate e non lo sapevo. E questo fa di Parigi un ricordo lontano e fumoso.
Ora lo so, che c'è l'estate a Ostia, e mi compiaccio intimamente di puzzare di sudore, e difficilmente potrò condividere il mio compiacimento con qualcuno. Col caldo, forse, è meglio muoversi un po' meno rapidi, così si puzza meno. Perché, a parte il compiacimento, puzzare non è bello.
Eh...
La vita, dice qualcuno, è fatta di piccole solitudini.

lunedì 21 maggio 2007


Fuoriesco da casa Grohmann, di testa, aggrappato al bordo con due mani, come si farebbe capolino da una botola, in certi film d'avventura. Mi guardo attorno, mi rigiro sul posto, annaspo. Per anni ho creduto questo: ai miei occhi miopi serve del tempo, al mattino, per mettere a fuoco il mondo. E invece, capisco ora, il tempo serve ai miei occhi miopi per ingannarmi che tutto è a fuoco come si deve. Ciò che non è vero.
E poi comincio a camminare, mi porta a spasso un fluido magico, perché dentro ogni uomo c'è un progetto segreto che nessuno conosce ma che ciascuno, senza conoscere, esegue. Sfoglio un paio di libri d'arte alle Halles St. Pierre: art brut, art outsider, pesci abissali: cose la cui esistenza o meno non cambia la vita a nessuno.
Penso di scalinare fin su Montmartre. Ci ripenso appigliandomi al terrore di vedere la città in mezzo giro di testa. E non arrivo a sapere se il terrore è l'alibi della pigrizia o se la pigrizia è l'alibi del terrore che sono già sul Boulevard de Barbès, e il contorno umano è passato dall'etnia bianco-turistica a quella olivastro-venditrice-di-orologi-rubati.
La metro mi inghiotte. La metro mi rutta a Belleville, di lì rimonto il quartiere in salita, senza pigrizia, tra i ristoranti cinesi, gli empori cinesi, i cinesi. Non ricordavo, non sapevo, che Belleville fosse bella al di là del nome. E' bello tutto il diciannovesimo arrotondamento; i municipi di Parigi sono numerati così, a chiocciola, a spirale. Arrivo a Télégraphe, e sono un pellegrino, prego e dopo siedo sulle scale, spalle all'altare. E poi, diritto di fronte, vado alla fermata del PC3. E' un bus pieno zeppo di neri africani, sempre. Percorre le mura di Parigi di porta in porta. Mi porta a porte de Clignancourt, per un'ennesima - perché non ultima? - volta. Scendo e c'è il mercato, lo attraverso, resisto al richiamo della galette del bretone, mi immergo nella città di St. Ouen, laddove non è più un fatto di arrotondamenti, è un fatto di 93, neuf trois, novetré, è un fatto di Banlieue. Di fronte alla mairie c'è una protesta pacifica, non so, forse un matrimonio, insomma c'è gente che suona tamburi africani e clacson.
St. Ouen era la mia città. Credevo di conoscerla abbastanza bene, non meglio di quanto non meritasse. Dalla mairie decido di imboccare una strada secondaria, mai battuta, e così via ad istinto.
Qualche chilometro e - complice il fluido magico - perdo il senno e trovo la Senna. La costeggio per un tratto, poi la ricerca di un qualsiasi centro abitato mi smarrisce lungo una lingua d'asfalto che separa appezzamenti brulli, coltivati a capannoni industriali. Presso uno di essi ecco quattro tipi in cerchio con le facce da operai magiari in pausa briscola. Pochi passi più tardi il graduale svelamento prospettico mi impone un campo nomadi; un intenso brulicare di vite giustifica tardivamente il chiasso di voci e battimenti che non sapevo di stare sentendo già da qualche decina di metri. Non riesco a trattenere un sussulto e un irrigidimento del collo, ma nessuno mi fa caso. Le prossime case sottostanno alla giurisdizione di Clichy la Garenne, e seguendo le indicazioni mi immetto sul Boulevard Victor Hugo (1802-1885). Il resto è discesa libera fino alla bElle éPoque.

giovedì 17 maggio 2007

Su parigi sempre pioggia, o altrimenti poggia quel lenzuolo livido, retroilluminato, e strade che riflettono e riflettono, specchio e lente, più lente assai - nel riflettere - di chi le passeggia, per quanto poi qui non viga la frenesia del tacco, non quella di certe londre, ugualmente ricoperte, pralinate, ugualmente meccaniche nel ventre. E di fatti quel che mi piace di Parigi, molto, è la metropolitana. La sua efficacia è dura da dimenticare, perché funziona come la memoria, e m'era rimasta attaccata alla calotta, quell'esattezza tentacolare e multicolore, quattordici e molto più rapide rapide, ripide cascate.
Certi quartieri, mi sembra, non ho mai smesso di guardarli, e non ero lì, eppure io c'ero, me li son visti solidi, geometrici davanti agli occhi; e nessuna sorpresa nel ritrovarli, come ne avessi, nello sguardo, il calco. E' facile confondere una città con l'altra.

mercoledì 16 maggio 2007

... ancora ...


REPETITA IUVANT

martedì 15 maggio 2007


Parigi, Parigi che piove Sgamorra

Parigi che piove, Sgamorra, Parigi

Che piove Sgamorra, Parigi, Parigi

Sgamorra, Parigi, Parigi che piove

Parigi, Sgamorra, che piove, Parigi

Sgamorra Parigi, Parigi che piove

Parigi, Parigi che piove, Sgamorra

lunedì 14 maggio 2007

Stavolta Beluga mi ha commosso davvero, mi ha ritorto contro tutte le mie false speranze con la mia stessa fantasia. Oggi questo palazzo (che si trova nel quartiere di Raval) non esiste più.

O<-<

venerdì 11 maggio 2007


Archiviaggio: cosa eravamo ma soprattutto dove eravamo

#1 Questra strana città ...
di Bak, 01/12/2004

Miei cari amici, "questa stana citta'" e' il tema della mail. Ovviamente potrei sembrare monotono, ma la quantita' di avvenimenti folli che si susseguono per le strade di Barcellona mi lasciano ogni volta di stucco. Certo, il luogo preferito per i pazzi e' quasi sempre il centro (Rambla e dintorni), ma ce ne sono tantissimi ... Cito come esempio due episodi: l'altro ieri su una strada piena zeppa di gente c'era un tipo che guidava la bicicletta a velocita' folle - e fino a qui tutto nella media - ma cio' che piu' mi ha colpito e' che guidava al contrario. Stava seduto sul manubrio, di spalle alla direzione di marcia, e pedalava al contrario col capo voltato per guardare dove andava. Beh, questo tizio era un fenomeno perche' oltre a schivare con maestria la folla - e c'era tanta gente in mezzo alla strada - e' riuscito a fermarsi completamente quando non ha trovato un varco ed e' rimasto in attesa per trenta secondi buoni senza posare i piedi a terra! Incredibile ... poi appena ha trovato spazio e' ripartito come un fulmine. Il secondo episodio e' accaduto ieri. Come vi ho gia' raccontato, la rambla - pensate alla nostra via del corso, solo che piu' bella spaziosa e che porta verso il porto vecchio - e' il luogo dove i piu' schizzati si danno appuntamento. C'era un artista di strada che, travestito da donnone super obeso, si faceva fotografare. Inizialmente mi sembrava tutto nella norma, anche perche' la gente intorno copriva un po' la vista, quando a un cero punto gli si avvicina un tipo tutto nudo - e anche scalzo - per farsi fotografare con lui. Io di stucco ancora non mi rendo conto che a fotografarli sorridenti e' una ragazza ... anche lei completamente nuda! NO COMMENT. Barcellona pero' non e' solo questo, l'architettura ad esempio e' qualcosa di meraviglioso - grazie soprattutto al contributo di Antoni Gaudi' - e non solo, ci sono tantissimi musei di arte contemporanea e moderna - che ancora devo visitare - e in piu' c'e' una funicolare che passa sul mare! Neanche io ci credevo finche' non l'ho vista. Poi la spiaggia, stile Miami, sempre piena di gente - che, certo, non si fa piu' il bagno - con i rollerblades, skates, a piedi etc etc. Palme, locali, gabbiani e onde di circa 1 metro e mezzo bellissime - aggiungo che non c'era mare grosso, quindi chissa' come sono con la mareggiata - e naturalmente surfisti. Insomma, vi ho scritto cio' che per il momento ha colpito la mia attenzione e che viene alla mia mente in questo momento. Sicuramente ho tralasciato cose piu' importanti tipo il mio lavoro, l'arpia con cui vivo - la padrona di casa - la fine del ramadan etc etc.
Mi mancate molto Alessandro alias Haikel alias Bak

mercoledì 9 maggio 2007


Piòtr, o chi per lui, mi ha detto qualcosa sulla mia generazione. Piòtr è un personaggio di fantasia, e in quanto tale non appartiene a generazione alcuna. Mi ha detto che la mia è una generazione ferita.

La cosa mi ha colpito parecchio ma non so bene perché, e voglio capirlo, voglio capire perché mi abbia colpito questa frase: la tua è una generazione ferita.

Anzitutto è bella la combinazione delle parole: una.generazione.ferita.

Ma che altro c'è? Sono sicuro che c'è qualcosa d'altro.

Mi sento ferito io? Mi sento ferito da sempre? Per sempre? E il fatto che io, eventualmente, mi senta ferito, vuol dire che per forza di cose tutta la mia generazione si senta in questo modo qui? Ferita? Ferita da cosa o da chi? Ferita perché? Ferita come? Ferita grave?

Piòtr m'ha detto questa cosa mentre si parlava di amore. Si parlava di te, perché sempre di te si parla quando si parla di amore. La tua è una generazione ferita. La tua che è anche la mia e non è quella di Piòtr, che non appartiene a generazione alcuna, essendo un personaggio di pura fantasia.

Tempo fa dicevo e pensavo (e tutt'ora penso) che siamo nell'era dell'amore scettico, e se volete sapere che cosa intendo cliccate qui e leggetevi una cosa che ho scritto nell'ottobre del 2006.

Ma questa cosa della generazione ferita non l'ho pensata io, l'ha pensata Piòtr. E a me colpisce, perché mi ci ritrovo, e ora vi spiego perché mi ci ritrovo, citando Piòtr qua e là.

Perché anche a me è dato fare sogni enormi e al risveglio la cosa più enorme che c'è sono le Campagnole da inzuppare in tanto buon latte, tanto grandi che le reggi con due mani e in una confezione ce ne stanno quattro.
Perché vorrei che le Macine, invece, fossero un gruppo heavy metal, incazzatissimo, da ascoltare ogni mattina appena sveglio, mentre inzuppo le Campagnole, incazzatissimo.

Perché anche a me i piccoli allievi di pochi Professori Incredibili insegnano cose che i più fortunati di noi tenteranno di spiegare, inutilmente e malamente, ad una generazione ancora più ferita della nostra, la quale avrà a disposizione - se non altro e malauguratamente - sedativi più potenti. Molto più potenti.

Perché anche io mi sento prigioniero della ricerca della libertà e perché nemmeno tu sai come rendermi uno schiavo felice.
Perché Bruno Vespa ha appena urlato in diretta RAIUNO: ecco il Papa che si sta affacciando!

Perché farei carte false non per sapere la verità - ché non mi interessa saperla -, ma semplicemente per riuscire a dirla. Sempre.
Perché il terrore e il rifugio l'hanno inventati nello stesso istante, nello stesso luogo.
Perché vorrei dire cose gigantesche e invece faccio la voce stridula ed imito banalmente il dialetto napoletano su una radio che va in onda solo a Frosinone, oltre che nel Mondo Intero.
Perché sento la tua mancanza.
Secondo voi ha ragione Piòtr? Sentite di far parte di una generazione ferita?

martedì 8 maggio 2007

Oggi martedì 8 maggio
secondo appuntamento con

Café Absurd on air

ore 23
www.broadcastitalia.it

follow us

sabato 5 maggio 2007

Oggi, sabato 5 maggio, ore 22

su www.broadcastitalia.it

Café absurd on air

Il collettivo 29 settembre debutta in mondoaudizione

Seguiteci.

venerdì 4 maggio 2007


Sono 28, e li sento tutti. Sento dire da alcuni che gli anni 90 sono passati, più passati del pomodoro, c' è da sperare soltanto in un ritorno della moda che per inciso non mi ricordo nemmeno più quale fosse. Devo rassegnarmi a vivere nel 2000 e rotti, ma tutto sommato ci vivo bene. La mia vita è felice, perchè mi sento molto amato. Ho solo il rimpianto di aver detto poco e fatto altrettanto in contesti cruciali della mia vita, ma questa è una rogna che mi gratterò col tempo sperando che non si infetti. Nonostante tutte le mie lacune come essere umano, credo che le cose stiano andando per il meglio, accetto suggerimenti per il futuro.
p. s. : grazie a tutti per essere ventuti al mio party in mezzo alle siringhe, spero replicheremo presto dentro al pattume.

mercoledì 2 maggio 2007